Le origini della violenza

“La vera prova morale dell’umanità è rappresentata dall’atteggiamento verso chi è sottoposto al suo dominio: gli animali. E sul rispetto nei confronti degli animali, l’umanità ha combinato una catastrofe, un disastro così grave che tutti gli altri ne scaturiscono.” (Milan Kundera).
Le vittime civili di una guerra etnica o di un lager e i bambini sfruttati dal lavoro o dal mercato del sesso non hanno una posizione più privilegiata rispetto ad un cavallo in un macello, ad un gatto sottoposto a esperimenti scientifici, ad un cane torturato da un adolescente o ad uno scimpanzé costretto a “lavorare” in un circo o in un film. La crudeltà si manifesta palesemente in tutti questi casi.
L’insensibilità e la mancanza di empatia che affliggono oggi più che mai la società, portano l’uomo a comportarsi violentemente e con indifferenza verso gli altri esseri viventi, animali o umani che siano.
Questo è dimostrato da molti studi, nei quali risulta che coloro che si sono macchiati di atti di violenza nei confronti degli esseri umani, fin da bambini si erano abbandonati ad atti crudeli nei confronti degli animali.
Uno studio condotto dalla Northeastern University e dalla Massachussets Society for the Prevention of Cruelty to Animals ha rilevato che in un lasso di tempo di 20 anni, un gruppo di 153 persone violente con gli animali erano 5 volte più tendenti a commettere crimini violenti e 4 volte più tendenti a commettere reati contro la proprietà rispetto ad un gruppo di confronto composto da 153 persone non-violente con gli animali.
E come potrebbe essere altrimenti? L’insensibilità acquisita nell’esercitare violenza su esseri che piangono e disperati urlano di dolore, non può che rendere insensibile l’uomo verso il suo simile. Il dominio e l‘indifferenza verso il dolore altrui sono il vero cancro del genere umano. Non solo: nella violenza verso gli animali si annida il disprezzo della diversità e questo abitua all’idea della supremazia del più forte sul più debole, con i risultati tristemente noti. Questa insensibilità comprende anche l’abitudine nella società del benessere di cibarsi sempre più di alimenti derivati dall’uccisione di esseri viventi.
Giusto per capirci, in Italia oggi si consumano circa 92 kg di carne procapite all’anno, contro i 25kg del 1982 o addirittura gli 8 kg del 1901. È dimostrato scientificamente che i cibi ad alto contenuto proteico di provenienza animale apportano notevoli quantità di tiroxina, dopamina e noradrenalina con conseguente disposizione alla competizione, alla lotta, a comportamenti aggressivi e autoritari e violenti. Questo è dovuto al fatto che la demolizione delle proteine animali determina la liberazione di alcuni aminoacidi neurotrasmettitori che generano, appunto, aggressività. La dopamina e la adrenalina sono i neurotrasmettitori preposti alla aggressività degli animali carnivori. Invece gli alimenti contenenti triptofano (legumi, nocciole, mandorle, patate, spinaci, ecc.) producono nel cervello il neurotrasmettitore serotonina che, attivando le encefaline, induce alla socievolezza, al comportamento pacifico, alla calma e alla distensione neuromuscolare. Violenza e sofferenza sono correlati e, a differenza degli altri esseri che popolano il pianeta Terra, gli umani possono decidere in piena consapevolezza se causare sofferenza o no.
Il concetto di violenza è ovviamente correlato al suo opposto, cioè al concetto di rispetto. Il rispetto -sia per le persone, sia per gli animali- si può ottenere solo tramite un processo di identificazione e di empatia, e con la consapevolezza che animali e umani convivono insieme. Quando l’essere umano saprà valorizzare, amare e rispettare il “piccolo” solo allora sarà in grado di amare e rispettare anche il suo simile. Un maggior rispetto nei confronti degli animali da parte di bambini, adolescenti e adulti aiuterebbe sicuramente a costruire un futuro sostenibile dove poter lasciar vivere tranquillamente i nostri figli.

(di Marco Beghetto)