AID SYNONYMOUS – dispenser-

Tacca su tacche, tacche su tacca. Tacche. Prendo il coltello a serramanico e incido il legno. Tacca su tacche. Incido. La. Tacca. Fino a formare. Quella. Specifica. Tacca. La trentasettesima tacca.

L’ultima l’avevo incontrata la sera prima in discoteca, già adocchiandola quando era in pista, disinibita nel suo vestitino rosso d’H&M scollato e con uno spacco slabbrato sul lato con il suo bel Collins di Mojito stretto nella mano, già incerta nel prendere la cannuccia in bocca, già ignorante del fatto che non stava bevendo nulla perché il bicchiere era già finito da un pezzo, tra passi biascicati e parole urlate inutilmente alle amiche nella calca delle casse che pompavano strafottenti e altezzose nell’irrequietezza del sabato notte. Mi avvicinai appena vista che le sue amiche avevano intorno altri uomini che le corteggiavano petulanti nei loro pavoneggiarsi pubici. Bisogna far sentir la presenza, non gliel’hanno ripetuto abbastanza? Mi sono avvicinato al suo orecchio e le ho urlato

-Per tirarti su-

e le ho sventolato davanti agli occhi, anche se in realtà gliel’ho fatto sentire nel palmo della mano, la bustina piena di polvere biancastra. Ben si dica, era solo aspirina pestata, ma tant’è che le si è illuminato lo sguardo e mi ha seguito fuori come una cagna affamata. Abbiamo sniffato, io l’ho soffiata via, nel retro di una palazzina adiacente al parcheggio della discoteca. Lei era alta e fradicia, nella testa, ma anche in mezzo alle cosce, si capiva dalla languidità di quegli occhi strafatti di acido acetilsalicilico e alcol.

-La miglior coca di tutta la tua vita dì la verità. E sai cos’è bello fare con la coca migliore? Scopare e scopare.-

Lei si è semplicemente abbassata le mutandine di pizzo pece, stupendomi del fatto che le portasse, e si è piegata in avanti appoggiandosi contro il muro, e inarcando la schiena porgendomi il culo si è offerta.

Prendo ogni relazione con positività, nel vero senso della parola.

-Aspetta che m’infilo il preservativo. Non voglio che dopo vengano fuori casini.-

-Ssss…sì…ma sbrigati.-

L’ho scopata forte, ma veloce, dapprima aggrappandomi alle sue spalle, poi prendendola per i capelli e attorcigliandomeli nella mano. Dio, come urlava, tra mugugni e rantolii sparsi. Credo, non la capivo molto.

-Senti la botta come sale!- urlai.

Guardavo i miei muscoli rimpinzarsi di sangue ed espandersi, favolosi.

Amanti fastidiosi in andirivieni che si staccavano rumorosi, schioccando corpi schifati dal sudore pulviscolare d’attrito nell’antecedente torrida afosità da mascherina antismog da suburra. L’inquinamento atmosferico sotto la luce ittera del lampione quarantenne vicino creava un’alone irradiante radiattivo che le contornava il dorso del cranio, mentre i suoi capelli sbattevano liberi, liberamente ovunque. Era davvero passabile.

Alla fine venni con un definitivo colpo pelvico, con tutta la mia forza, irrorando e lasciando spargere tutto quel che avevo.

La mia uretra pulsava come non mai, attratta ed espansiva come un’aorta che porta il sangue al cuore e direttamente la voglia di vivere, protratto in una sedimentazione avvenente, imprigionato nella contemplazione masturbatoria.

Le porsi le mutandine abbottonandomi i pantaloni, sentendo gocce dense affacciarsi dalle sue labbra depilate, per poi tuffarsi dalle cosce direttamente nell’asfalto, per infine deflagrarsi inesorabilmente in uno splash teatrale e olimpionico seguito a ruota dal mio preservativo sfilato con garbo.

10.10.10.

Standing Ovation e ovulazione in pregna.

L’ho lasciata là, ma l’ho ringraziata prima perché si è fatta scopare veramente bene, la mia trentasettesima tacca.

-Mmm.- ha risposto lei.

Finisco di affondare la lama nel montante del letto, sulla parte laterale, dirigendomi poi soddisfatto e con un sorriso sornione in cucina per far colazione salutare con del tonno al naturale e dell’insalata misticanza condita solo con un po’ di aceto balsamico, senza sale, onde evitare l’odiosa ritenzione idrica che mi procurerebbe magari non ben pochi problemi con il mio fisico scultoreo da esibire alla prima occasione buona per procacciare. Scaldo anche, in una pentola antiaderente di pietra così da non dover usar olio, un bricco dell’albume da fare strapazzato e lo aggiungo. Assumo.

Condivido Amore. Tanto Amore. Ho tanto Amore da offrire, a tutte. Ogni muscolo e massa del mio corpo pompa amore 24/7. 365 giorni l’anno. 366 nei bisestili, ovvio. E’ solo ludicità pura e semplice, come quando bastava vivere mirabolanti avventure immaginarie nel proprio cortile per essere felici. Il gioco ha sostituito il gioco, bambini mai stanchi e sempreverdi, non si cresce mai alla fine.

L’amore matrimoniale è abitudine consacrata, l’uomo animale è poligamo e io dono Amore.

Prendo ogni relazione con positività, nel vero senso della parola, l’ho già detto.

Mi abbasso al suolo, stiracchiandomi prima ben bene le braccia, pronto a fare i miei esercizi mattutini composti da 4 ripetute di 50 flessioni, 300 addominali di diversi tipi per stimolare tutto il retto dell’addome, 4 ripetute da 50 sollevamenti con un peso di 10 chilogrammi cada braccio e di vari tipo per sollecitare ogni parte, tutto rispettivamente alternato da riposi di un minuto e venti secondi esatti tra una ripetuta o un’esercizio e l’altro. Preferisco mangiare prima di fare esercizio, senza un motivo ben preciso, cosciente del fatto che sarebbe più indicato farlo lontano dai pasti. Nutro il mio corpo solo con alimenti biologici e proteine di prima qualità, assumendo un grammo e mezzo di proteine giornaliere per ogni chilogrammo del mio corpo che al momento risulta essere di 87 chili  e 670 grammi con una percentuale di massa grassa veramente irrisoria. Mi guardo la tartaruga e i miei bicipiti che pompano e pompano come pompavo la tacca ieri sera.

Sono stupendo, sono perfetto. Mi scoperei all’infinito, mi scoperei fino a farmi male.

Finisco gli esercizi con impeto, preparando già le scarpe per andare a correre il giorno successivo, faccio del cardio di 20 km a giorni alterni allo sviluppo della massa con il cardiofrequenzimetro ben stretto al petto.

Mi ammiro allo specchio che è vicino la porta d’entrata, dove poso le scarpe da running ultraleggere con la suola in Vibram di ultima generazione, mentre mi chino e i miei quadricipiti si piegano e si rimpolpano e si riempiono di fascinosità mascolina.

Sono alla stregua di un Dio, anzi forse di più. Mi adoro. Mi scoperei davvero fino alla morte.

Noto sul comò vicino, risollevandomi, la lettera inviatami dal medico un’annetto prima con la prescrizione delle medicine, quali: Efavirenz 600 mg una volta al dì, Novir 200mg una volta al dì, Viramene 200mg una volta al dì. Non so perché la conservi ancora e soprattutto qui, in giro per la casa. Forse è semplicemente una remora inconsapevole che inconsciamente la mia etica morale e sociale mi sussurra? No, non penso.

Mi dirigo verso il bagno, apro l’anta sinistra dell’armadietto di smalto color panna, prelevo tre preservativi zigrinati dalla confezione ormai vuota, anzi devo ricordarmi di tornare in farmacia a far scorta, e con la piccola forbice che utilizzo per recidermi gli antiestetici peli del naso che ogni tanto sbucano dalle narici, pratico piccoli e numerosi fori su tutta l’ampiezza del lattice, trapassando dall’esterno l’incarto cangiante in alluminio.

Prendo ogni relazione con positività, con vera positività, nel vero senso della parola, l’ho già detto e lo ripeto.

Mi rispecchio, ammaliato e bellissimo, iniziandomi a preparare, con vestiti puliti ed eleganti, per uscire in centro città, perché non si sa mai chi posso trovare. Chissà. Chissà. Magari la mia trentanovesima, penso infilandomi i tre condom, crivellati e ridotti a groviera, nella tasca posteriore dei miei bei chinos ocra attillati. La mia trentanovesima tacca nella mia nuova vita.