Chi è Anna?

Credo che il momento, quel momento in cui mi sono resa conto di me stessa per la prima volta, trovandomi nel posto giusto al momento giusto, sia stato in concomitanza con l’istante nel quale ho deciso che era meglio smettere di pormi sempre la stessa domanda.

Solo una questione di volontà? Solo questione di determinare a priori la nostra essenza?

Passiamo l’intera esistenza a rincorrerci, immersi nel rincorrere l’inesplicabile bisogno di sapere chi siamo davvero, senza trovare mai la risposta, senza capire se chi siamo è frutto dei nostri arzigogolati pensieri attorno ad una domanda che non trova mai una soluzione.

Il tempo passa e la domanda si ripropone, costante, avvilente senza mai trovare modo di placare questo fuoco agonizzante con una pioggia salvifica.

Il Il tempo passa, passa e passa.

Ma chi è Anna? Nessuna risposta. Nel rincorrere questo quesito ho quasi dimenticato chi sono. Mi rivedevo correttamente con il concetto di “trasformazione” così da mutare pelle per non poter definirmi mai. Era solo un tentativo di assopire invano alla mancata risposta, all’indeterminatezza forzata della mia personalità. Cambiavo la mia apparenza quasi fossi in preda ad un attacco costante di, come dalla suddetta sottoscritta chiamata, camaleontide. Mutavo continuamente, non vedevo altra strada che quella di continuare la trasformazione e ad ogni cambio d’abito perdevo un pezzo della mia essenza. Sentivo dentro di me che la trascuravo. era Era come un oggetto marcescente dimenticato nell’umidità maleodorante dell’invisibile interno. Era dentro di me e io facevo si sì che si consumasse lentamente ogni giorno.

Ma quindi quale è davvero la strada giusta per arrivare a noi? Continuavo a chiedermi “Chi è davvero Anna?”; fino a far marcire ogni singola molecola di me, fino ad essere sempre diversa e sempre meno Anna.

Poi, come nelle situazioni inaspettate, quando la paura e l’immobilismo iniziano a coprire con la polvere le spalle, le gambe non mi reggono più.

Un colpo solo, veloce e teso. Mi trovavo ferma davanti allo specchio a guardarmi. Mi analizzavo attentamente e non mi riconoscevo più, nemmeno apparentemente, avevo il viso di un’altra ragazza. Avevo trasformato così tanto il mio aspetto nel cercarmi che mi ero ancora più allontanata da me stessa. Mentre fissavo allo specchio quella che doveva essere la mia immagine, di mio non riuscivo a vedere e sentire nulla.

Capii. Guardavo quella persona, quella non io e finalmente fu tutto chiaro. Dovetti non riconoscermi più per ritrovarmi. Perdermi incondizionatamente nel disperato tentativo di capire chi sono. Girando su me stessa, cercando di azzannarmi la coda con furia, come un cane impazzito, stremato. Ero quel cane e così facendo cercavo di trovarmi. Giravo attorno, a vuoto, ma non focalizzavo davvero qual era il punto. Mi cercavo, sisì, con amorevole rispetto del mio corpo, esasperandone quindi i tratti superficiali, attraverso il mio aspetto, attraverso le persone che mi stavano accanto. Non mi ero mai vestita internamente di un sorriso, non ho mai cercato di arredare un luogo sicuro dentro di me dove incontrare le persone che vorrei al mio fianco perché questo avrebbe significato trovarmi, conoscermi, affrontarmi, accettarmi ed essere accettata. La mia tempesta perfetta è stato quel momento.

La mia tempesta perfetta ero io.