Bacio il legno

Ho baciato il legno della mia nave come ho baciato le labbra della donna che amo. Hanno sempre avuto lo stesso carattere entrambe, ma alla nave tenevo di più. Fragile e voluttuosa, avrebbe solcato le acque che mi avrebbero portato a tesori e ricchezze, onori e glorie che soltanto agli dei scesi in terra sarebbero spettati. Così dissi alla mia donna e così le mentii. Scabbia e pruriti mi attendevano e il più grande tra gli onori sarebbe stato quello di mangiare un rancido pasto giornaliero.

L’avevo salutata promettendole il mio ritorno e una svolta nelle nostre vite, ma l’unica svolta era la mia partenza e anche lei lo sapeva. Mentivamo e annuivamo nel caos del mercato, mentre la mia mente già viaggiava presa dai profumi delle spezie, e immaginandosi il sapore delle carni.

Non avevo mai solcato il mare e quando mi dissero il percorso che avremmo fatto non ero stato in grado di memorizzare nemmeno un nome, solo il “capo di buona speranza”, perché mi pareva di buon auspicio.

Ma ben presto avrei imparato a mie spese quanto gli uomini si divertono a dare nomi fantasiosi e sarcastici alle loro paure.

Scalzo, fradicio e infreddolito nel bel mezzo della tempesta mi chiedevo perché mi fossi imbarcato e come tutta la mia esistenza mi avesse portato a quel momento, ma le vele della nave richiamavano la mia attenzione e i pensieri morivano e nascevano lì nel fragore delle acque.

Spesso anche con  il cielo sereno, la mia anima non si placava mai e vacillava da un sentimento all’altro pensando a ciò che mi aspettava e all’incertezza. Così  mi facevo cullare dal rollare delle onde, sicuro che i problemi erano lontani perché la terra lo era.