Blackout

Sarà accaduto dieci anni fa, noi non ci parlavamo più già da due.
Avevamo trascorso una serata insieme, per caso, una di quelle serate organizzate chissà da chi, forse un ritrovo di classe, di quelli senza classe.
Tu eri ubriaca e ridanciana, come non ti avevo mai vista. Io ero single e svagata, niente di nuovo.
Dopo la mezzanotte ti eri avvicinata chiedendomi come stessi e dicendomi che non capivi il motivo di quel lungo silenzio tra di noi, oltre due anni, ed io ti avevo raccontato la storia che parevi non ricordare, il tradimento della fiducia, la falsità subìta. Mi stupii del fatto che tu non ricordassi seriamente nulla, quasi come se non avessi mai vissuto quei fatti.
Eri dispiaciuta del mio racconto, e lo eri davvero, lo vedevo dalle lacrime che sgorgavano dal tuo vaso. Quel vaso che avevi scoperchiato lì, sincero, era traboccato. Mi vi affacciai e vidi le tenebre. Il vaso conteneva il tuo mondo, il mondo delle violenze che avevi subìto e non avevi mai raccontato.
Nelle ore successive avevo depistato qualche filibustiere che giocava con la tua ebbrezza, ma mi era bastato voltarmi un minuto per perderti.
Quando ti ritrovai, oltre un’ora più tardi, eri fuori di te, mi raccontasti di essere stata con un ragazzo sulla neve. Mi rivelasti che l’avevate fatto, che avevi ancora la schiena gelata, e tanto altro. Forse perché ridevi da isterica, o forse perché ero un po’ frastornata anch’io, ma non realizzai subito la rilevanza del fatto.
A fine serata, quando un amico mi lasciò all’imbocco della mia via, erano passate le cinque del mattino, e in tutto il mio paese era saltata la corrente. Ogni figura era più scura della propria ombra.
Camminai nelle tenebre, tra le sagome dei lampioni rimasti senza corrente, le case scure, i fruscii dei cani nell’erba ghiacciata, neri anche loro, il mio animo incupito.
Il buio mi aveva accompagnata e accolta a casa, poi nel buio provai a lavar via il male di quella serata e crollai nel letto.