Book Pill

“Stanno tutti bene tranne me” è la frase che ho ripetuto più volte quando mi sono trasferita a Roma. Svegliarsi la mattina e non avere niente da fare. Nessuno con cui parlare, nessuno che ti conosce, che ti saluta. Uscire per vedere cosa succede fuori, come vivono gli altri. Scoprire che tutti hanno una direzione, che lo scopo è raggiungerla il prima possibile, correndo e urtando chi invece rimane fermo lì, dubbioso e perso. È quello che succede a Margherita, la protagonista di questo romanzo, in un contesto addirittura peggiore, dove il luogo ostile è la casa che ha costruito, con pazienza e sacrificio e una buona volontà che fa sentire invincibili; quando gli estranei veri sono i tuoi figli e l’uomo che hai scelto di amare.
Nemmeno il sonno l’aiuta ad estraniarsi: si nega, regalandole ore di pensieri lunghi come un’agonia. Fino alla tragedia, un dolore feroce ed enorme, insormontabile, che dilania con i denti di un cane, che ti sta addosso, non ti lascia in pace, non ti permette di prendere fiato. Un dolore straziante che si trasforma in una primavera.
E allora gli occhi si aprono e si vede tutto lucidamente e le cose hanno una forma nuova e si perdona chi non ti ha mai capita e si accetta chi guarda diversamente da te. E muori, di nuovo, per riscoprirti imperfetta e fragile. Tu, ancora di più, per sempre o solo per poco tempo.
Leggere Luisa Brancaccio fa sentire piccoli, in fasce. Fa sentire umani. Fa sentire pronti a dire: Ora tocca a me.
“Il muro che li separa è solo un incidente.”

Stanno tutti bene tranne me, Luisa Brancaccio, Einaudi

(a cura di Tamara Viola)