Breve Cronaca di una Rivoluzione in CMYK

Vittorio torna dalle piazze co’ maglioni fraccichi e sbrindellati che la madre rappezza in silenzio, Luigi urla insulti ai microfoni dei bar co’ una chitarra e un passamontagna, Serena studia a Bologna e me dice nonsocchecosa de Francoforte e de uomini a una dimensione.
Io per me impiastriccio i muri e ‘l cervello. E me ne sto zitta pure, ché sennò so’ legnate.

Dove sto io è tutt’un cantiere de gru, impalcature e cemento. Un formicaio de griggiume che cresce come ’na malattia acquattata tra le vie dove so’ nata. Serena me parla de speculazione, ma io so appena come se scrive. Io so solo che non me piace, così scrivo sui muri, imbratto carcinacci e mattoni, disegno vomito, nuvole e macchie nere.

I barboni qua me chiamano artista perché sanno che coi colori che butto i muri puzzano meno de inciucio e corruzione. I ricchi me chiamano drogata, ma non sanno che solo con la polvere se vede un po’ di vita su que’ quartieri senza nome, spiccicati uno all’altro.

La mia città c’ha un nome, ma non ve lo dico. Altrimenti penzate che solo qui il sindaco c’abbia fatto il condono edilizio alla mala. E il mio nome pure non sta scritto perché anche voi, spero, c’abbiate tanti muri vuoti da riempire.

(1974, una città qualunque)