Canto di follia d’una fenice

Sii posata. Vota la tua anima a Dio. Sii una brava madre. Sii una brava moglie. Sii ubbidiente. Sii modesta. Non aver ambizion più grande se non quella di servire il Signore tuo (de la tua fede o de lo tuo talamo, poco importa). Fa’ de la grazia la tua dote e de la tua dote quella de lo tuo sposo. Pentiti e non peccare. Ringrazia il tuo Signore di averti scelta e benedici ogni suo verbo. Prega.

Crebbi con queste benedizioni, credendovi con una certa riluttanza – ma pur sempre credendovi.

Il mio crine sciolto all’età di 24 ventiquattro anni non lasciava spazio se non a quello di un futuro in convento. La mia bellezza era superiore a quella delle giovani della mia servitù e le terre di mio padre si estendevano rigogliose lungo una grande porzione del Tyne – eppure sembrava che il mio destino fosse quello di servire solo la grazia della mia casa e di Dio.

Pregare, ricamare, leggere, sedere nell’aula; qualche passeggiata nella buona stagione: questo l’incedere delle mie giornate. Assistere a qualche sventurato condotto alla forca o incrociare fugacemente gli sguardi dei vassalli e dei soldati. Dei brividi che raramente mi venivano concessi; e pur sapendo di peccare nel trarne contentezza, li reputavo le mie piccole gioie in un’esistenza così regolare.

Un grigio mattino d’autunno dell’anno 875, Dio (quale?) decise che la mia vita dovesse cambiare. Fuoco, urla, pianti, sangue, spade, gloria, morte, distruzione. Mio padre, il Signore di Hexham, era divenuto il Signore del fango, della paglia e della pietra imbevuta di sangue ardente e di lui non rimaneva altro che un corpo inerte. Non feci tempo a fare nulla o forse non volli fare nulla. Quella apocalisse di cremisi e fiamme mi ipnotizzò, o forse liberò quel che in realtà sono. Braccia possenti, risa, forza bruta, non mi opposi al mio ratto. Vidi la mia gente soffrire, vidi la mia terra soccombere ed io ero finalmente viva, finalmente desta.

Cavalli, cuoio, argento, movimento. Il giorno della rinascita, il giorno in cui Halfdan Ragnarsson soppresse Aelfdryd per portare alla luce Eylaug, colei che ora sono. Poté darmi in pasto ai suoi uomini ma non lo fece: misericordia? Pietà? No, avidità. Ero pur sempre la figlia di un Signore, dal quale ottenne terra, argento e oro. Non prenderne anche la carne sarebbe stato peccato. Divenni una delle tante, non fui più una preziosa moneta di scambio. Ma per me fu il giorno della libertà, il giorno in cui potei danzai danzare fino allo sfinimento su quella terra che con tanto tanta perseveranza i miei avi difesero.