Editoriale

Una delle prime cose che ci vengono insegnate a scuola sono le operazioni matematiche basilari: addizioni e sottrazioni. L’ingenuità dei bambini colora di accezione positiva l’addizione e ovviamente, per contrasto, di accezione negativa le sottrazioni. Ma questi valori sono intimamente corretti?
Il primato dell’apparato scientifico-tecnologico, quindi la falsa credenza che la scienza può dare una risposta alla grande domanda di senso della vita, assieme al materialismo e al consumismo capitalista, hanno dato adito alla costruzione di una società strutturata sul superfluo e sull’opulenza, oltre che sull’accumulo di sapere e di beni. In questo scenario l’addizione rappresenta la brama di possesso e la mania di controllo sulla natura proprie dell’uomo occidentale, mentre lo stesso si tiene occupato acquistando oggetti e cose che dovrebbero offrire il vero benessere a lungo ricercato e agognato.
Nella direzione opposta, operare le giuste sottrazioni e privazioni, spogliarsi di tutto, rinunciare ai beni materiali e alla falsa sicurezza che ci offre la scienza, sospendere giudizi e pregiudizi, abbandonare espressioni, tensioni ed emozioni, può aiutarci ad apprezzare l’Io così com’è. Occorre opporre alla sete di sapere empirista, volta all’onniscienza come unico mezzo per raggiungere la verità ultima, un sentire più sensibile alla suddetta domanda di senso che affligge l’esistenza e che, allo stesso tempo, la trascende. Perché frugare l’Universo con avidità e cercare inutilmente di riempire le nostre vite, quando non sappiamo nulla di noi stessi? Non è forse meglio iniziare una ricerca di noi stessi, in noi stessi? Per rispondere a questa necessità non bisogna fare altro che abbandonarsi al – falso – vuoto del nostro universo interiore per riuscire a comprendere la vera profondità di noi stessi.

Le molte penne di Lahar, tutte penne diverse, di diversa fattura e di diverso colore, nella composizione di questo numero sono tutte accomunate dal vuoto lasciato dall’inchiostro, ormai usato per narrare sé stesse e per cercare di dare voce all’indicibile. Proprio grazie all’indicibile possiamo iniziare a riconoscerci come siamo realmente, avere il coraggio di rimanere nudi e felici di fronte allo specchio di noi stessi, esposti e realmente disponibili alla ricerca della nostra raison d’être.
Cosa rimane una volta sottratto tutto? Prima ancora del pensiero cosciente, prima ancora dell’atto pensante, cosa sussiste? Non lo zero, non il nulla, non il vuoto: solo il nostro cuore, che batte.
Buona lettura.

(di Eric Parolin)