El dorado

Dalla sua fronte scendevano piccole gocce di sudore. Non sapeva se fosse a causa dell’umidità oppure la febbre che ormai da due giorni la stava uccidendo.

Tra i suoi numerosi viaggi per il mondo, non ricordava di aver mai penato così tanto. Certamente non sarebbe stata un po’ di febbre a fermarla ora, ad un passo dalla scoperta della sua vita.

D’altronde, affrontare una spedizione archeologica nel mezzo della foresta amazzonica alla rispettabile età di 64 anni non era cosa da poco e per quanto forte e intraprendente, un tale stress fisico gravava sul corpo di Giovanna.

Nonostante il nominativo italiano, lei era nata e cresciuta in Olanda; il suo nome soltanto un lascito dei nonni paterni.

Sin da piccola aveva dimostrato la sua passione per i libri, tanto che al posto di giocare con le bambole preferiva leggere.

Aveva già deciso cosa le sarebbe piaciuto fare da grande e per raggiungere il suo obbiettivo aveva passato gran parte della sua adolescenza a studiare. Anche se le sue amiche uscivano, lei sapeva che l’aspirazione a cui mirava poteva essere ottenuta solo tramite impegno e sudore. Di quest’ultimo ne aveva sicuramente in abbondanza, pensò sorridendo mentre scendeva lungo il versante della montagna.

A 23 anni si laureò con lode in archeologia e antropologia culturale all’università di Amsterdam e da lì iniziò la sua ascesa che la portò ad essere riconosciuta a livello internazionale come una delle figure più importanti nel suo settore.

Erano partiti alcuni giorni prima da Cuzco, Perù, e in poche ore di macchina erano arrivati al piccolo villaggio di Chancamayo. Da lì, insieme ad una guida locale si erano inoltrati a Nord, nelle profondità della giungla, scendendo le alture della cordigliera delle Ande.

Avevano ormai trascorso quattro giorni camminando per la foresta. Il percorso attraverso i rigogliosi altopiani era parecchio accidentato e di sicuro trasportare le attrezzature per gli scavi non aiutava nelle scalate.

Come se non bastasse, a metà tragitto le era venuto un febbrone. I membri della spedizione avevano anche provato a dissuaderla: “Torni indietro miss. Si riposi e appena si riprenderà, potrà tornare”. Col cavolo, aveva pensato. Certo non aveva pianificato e atteso questa impresa per più di un anno per poi dover tornare indietro. Aveva passato metà della sua vita a fare ricerche e studiare antichi scritti amerindi. Lei aveva localizzato la posizione della leggendaria città. Spettava a lei la scoperta della mitica “Ciudad Perdida”.

Avevano quindi proseguito sino ad arrivare ai piedi di un pendio, dove un piccolo corso d’acqua incontrava l’entrata di una grotta.

Preparando l’attrezzatura, poteva sentire il logorante senso di spossatezza. Doveva stringere i denti solo un altro po’.

Una volta entrata le sembrò essere trasportata in un altro mondo. L’aria era meno umida che all’esterno. Mentre camminava osservava le innumerevoli stalagmiti disposte ordinatamente ai lati della caverna. Ma ciò che la sorprese di più fu la presenza di un leggero chiarore provenire dal profondo della grotta.

Addentrandosi, il bagliore cresceva, finché non vi fu più bisogno di utilizzare le torce e videro.

La luce proveniva da alcune aperture in cima e si diffondeva in tutta la cavità. Quelle che all’inizio erano stalagmiti o semplici formazioni rocciose coperte di muschio, ora si rivelavano come maestose colonne scavate sulla pietra stessa.

Davanti a lei, strutture piramidali si affiancavano creando stretti passaggi che conducevano verso l’interno, dove era possibile distinguere il profilo di una costruzione più alta delle altre. Affiancate a questa, spuntavano le rovine di quelli che dovevano essere stati grandiosi pinnacoli.

Sebbene ricoperte da terra e piante, le costruzioni parevano brillare di luce propria. Ciò che al principio parevano migliaia di stelle, Giovanna distinse come minuscole pepite d’oro. Capì che erano queste a riflettere la luce proveniente dalle cavità in alto.

Sbalordita, realizzò l’immensità della cosa: l’intera città era stata scavata su una miniera d’oro, all’interno della montagna.

Il cuore le batteva forte per l’emozione. Il respiro affannato.

Dopo tutti quegli anni di studi e indagini era finalmente riuscita a trovarla. La mitica Paititi, la misteriosa Akakor, la leggendaria città di El Dorado. Quella che sarebbe potuta diventare l’ottava meraviglia del mondo.

E mentre commossa, realizzava la grandezza di quella scoperta, un dolore lancinante le colpì il petto. Non aveva mai provato nulla del genere. Prima che potesse aprire bocca, era già per terra.

Il suo cuore stava cedendo. La fatica e la febbre che aveva dovuto sopportare erano stati eccessivi.

Fu allora che ebbe un pensiero: aveva trascorso la sua vita a studiare, ad apprendere ed analizzare lingue morte da secoli. Tutto ciò per vivere questo momento, per poter scoprire questa meraviglia. Ma percependo la sua fine vicina, una frazione di secondo prima di perdere conoscenza, si rese conto che aveva perso la meraviglia più grande: la sua gioventù.