Essere stronzi da sbronzi è come non esserlo affatto

Accendo il computer, la testa ancora gira come fossi alle giostre, palate di trucco spalmate sugli occhi e cocktail di frittelle e vodka. Ieri sera devo aver fatto tardi. Merda, oggi ho del lavoro da sbrigare, devo fare una lavatrice che mi servono mutande pulite per la settimana, i jeans li posso ancora usare. Lo schermo mi abbaglia, mi serve del caffè.

Dov’ero rimasta, ah sì, il mio computer mi acceca per un attimo, scorro le e-mail, faccio partire della musica cubana e do un’occhiata a Facebook, così per bruciare questi minuti vuoti prima che la caffeina mi inondi le pupille e il cervello cominci ad elaborare l’ennesimo post sbornia.

Una richiesta di amicizia, un tipo con un nome comune, un soprannome prima del cognome e una foto della sua faccia, l’ho vista prima, ma non ricordo bene. Già parti male, amico, lasciatelo dire, poi poco cambia se diventiamo amici virtuali oppure no, questo legami online non sono il mio pane. Rifiuto. Comincio con la mia lenta routine della domenica mattina, la tv che sputa sentenze politiche e pubblicità di donne nude, tutto regolare. Fame, ecco cos’è. Finisco la pasta in frigo, l’ho preparata che era tardi ed io ero sbronza, la combinazione tonno e formaggio non me la sognerei nemmeno per sfida, nemmeno per scommessa persa.

Vibra il cellulare – un sospiro di sollievo, come dopo interi minuti di suspense al cinema, chi se lo sarebbe immaginato che ce l’avrebbe fatta ad arrivare sano e salvo e senza aloni di alcool o contorni smussati; un messaggio. Non di quelli normali, dio no!, quelli fanno così anni 2000. Messenger, creatura del demonio, piaga sociale che permette a ogni persona, scarto umano, animale e probabilmente anche amici immaginari di contattare qualunque altro scarto umano, animale, persona e sì,i perché no, anche amici immaginari. Posso scegliere se accettare o rifiutare; mi avvicino lo schermo agli occhi ancora annebbiati, è quell’ennesimo figlio di ingenuità e forse arroganza a cui ho negato di frugare fra i cazzi miei su Facebook, avrà realizzato che gli ho rifiutato l’amicizia ed eccolo qui, bussa più forte a questa porta virtuale che ci separa, che ho chiuso a chiave – mio adorato scudo anti single che ci provano la sera al bancone di un bar, mio amato mantello di menzogne per darmi quella nota di fascino che inevitabilmente faccio crollare dopo due minuti di conversazione, anche se spesso me ne basta uno. Eccolo suonare alla mia porta virtuale con l’inevitabile messaggio del “la mattina dopo, io ancora sbronza, tu ancora alla spudorata ricerca di storie da raccontare agli amici davanti ad una partita di calcio con birre da discount”. Ecco, questo messaggio è quello che più temo prima di uscire di casa, la sera – peggio di un rimprovero di genitori-chioccia e si anche del tempo che ti solca la pelle, della consapevolezza che bere ti toglie fiato quando improvvisi una corsa. Perché è questo pietoso tentativo di sconosciuti di convincerti nelle loro braccia che ti fa realizzare che non basta raschiarsi via il fango dalla coscienza regalando un panino a chi chiede l’elemosina o andando a passeggiare al cimitero con gli angoli della bocca all’ingiù e gli occhi umidi. Questa sua infelice scelta di parole la mattina dopo un mio tête-à-tête con l’alcool mi fa sentire come rigurgitato rigurgitata nella realtà che cerco di annegare in un altro bicchiere.

“Ehi bella, sei tu la ragazza con cui ho parlato ieri sera? Ma non avevi detto di chiamarti Jessica? ;)”.

Ora stilerò una breve lista di errori in questa partenza, piccola parentesi che più che essere parentesi è elucidazione, parabola tratta dal manuale ‘Come rimorchiare una ragazza che esce di casa in infradito per passare il compleanno delle amiche a bere rhum al bancone di un bar’ che mai scriverò.

  1. Non ti inventare di cominciare con un “Ehi bella”, non saprei da dove cominciare a correggere quanto di sbagliato ci sia in queste sole due parole;
  2. Sappiamo entrambi che la ragazza misteriosa di cui ti sei infatuato altro non era che chimica alcolica e frasi di circostanza raccontate in fila per il bagno/al bancone/sulla porta in cerca di una sigaretta come se da questa dipendesse la destinazione della sua anima dopo la morte;
  3. Non fingere dubbi se sai per certo che è lei l’eccitante amore platonico nato in un bar di provincia, il suo nome diventato soluzione e frutto di testardo questionario notturno che i tuoi amici e amici di amici e zii, prozii, cugini fino al quattordicesimo grado e i cani hanno dovuto ascoltare e che certamente suonava come identikit più che questionario, se non avessero per caso, ma dico quasi accidentalmente, notato quella ragazza coi capelli lunghi e gli occhi verdi e i jeans rotti che sembrano rotti apposta, quella in infradito e che spesso dice parolacce. Dico così, se per caso, magari, mi conoscono e quale sia il mio colore preferito, se mi piace la pizza margherita e che musica ascolto quando mi sveglio al mattino e tutto quel dipinto di enigma da risolvere per arrivare ad avere il mio nome e, una volta avuto quest’indizio, cercarmi su Facebook, tomba dei rapporti fra umani e alieni e tutto il resto, figlio del demonio o magari suo semplice clone.

Questo è un altro giorno nella vita di una ragazza che magari assomiglia a tante altre in questo trucido mondo, grezzo come lo zucchero, o magari che è la sola a vedere tutto sotto questa brutta luce che basterebbe aggiustare di una virgola, tagliare un po’ lì e ricucire qui, che si sveglia ogni giorno promettendo al suo cinismo di essere più morbida un po’ con tutti, anche con i pedoni che le tagliano la strada quando è in ritardo al lavoro, anche con in cani che abbaiano nel mezzo del cammin del sonno, persino con gli sconosciuti che cercano di rimorchiarti al bar, nonostante la tua aria da stronza, nonostante il loro soprannome su Facebook. Questa è solo una chicca, una virgola nella giornata ancora ubriaca di una ragazza che al bar ci va in infradito e che il compleanno dell’amica lo passa a chiedere sigarette e a sputare sentenze politiche imbevute di stronzate sfogliate nel giornale al mattino. Ma mica ci si può sempre basare sulla copertina di un libro, sul colore dei capelli di chi ti presentano o sul tono di voce di chi ti circonda, ; scavando un po’ sotto allo sterco ci si trovano fiori, o probabilmente soltanto altro sterco.

*Rifiuta richiesta di messaggio.

Magari questa filosofia di amore per ogni cosa dotata di polmoni la abbraccio domani, ora ho solo bisogno di una doccia fredda e di un’altra tazza di caffè. E poi, chi è che ci prova più mandando l’occhiolino in chat?