Gelato alla Crimea

Per chi la Storia, quella con la S maiuscola, l’ha masticata non solo nei libri di scuola, la situazione in Crimea è un tormentone di quelli destinato a non morire mai.
Una questione mai risolta destinata a ripresentarsi come un orologio, ogni volta che l’occidente, un tempo capitanato dal Regno Unito, ora dagli Stati Uniti, si trova a fare braccio di ferro con l’orso, dieci anni fa dormiente e con le pezze al culo: la Russia.
Che l’occupazione pseudo-militare dei sovietici, pardon, russi, sia legale o meno, sicuramente ha destato non poca preoccupazione nelle sale del potere e nei crani dei più interessati.
Spontaneo e naturale verrebbe da gridare all’invasione, se ci si fosse limitati a seguire i media nostrani, così indaffarati a photoshoppare nelle menti delle persone il sempre distinto Putin, aggiungendogli la forca, due corna e un colorito rossastro. Ma se da ovest l’accusa dice “Invasione”, da est la difesa, con un contropiede attendista, ma sembrerebbe efficace, parla di colpo di stato. Il giudice dovrebbe essere la vecchia Europa (in teoria), ma si sa che dal ‘45 in poi il punto di vista dei vecchi non ha più avuto molto peso, e soprattutto non è più stato essenzialmente equo. L’Ucraina ovviamente dovrebbe essere la vittima: sta ai singoli decidere se questa avesse tendenze suicide o meno.
Nel giorno in cui il presidente Obama visita Roma però, se per assurdo qualcuno gli ricordasse la grande e temibile S, facendogli capire che da sempre, prima ancora che i suoi Stati Uniti divenissero nazione, quella terra, quella penisola, è sempre stata di un popolo che ne ha viste di cotte e di crude, ma che non si è mai arreso ai nemici esterni; se per assurdo qualcuno gli dicesse che questa volta Putin, sicuramente non un campione di democrazia, ha vinto senza tentare di imbrogliare un popolo e il mondo intero; se per assurdo Obama si rendesse conto che il mondo ha ripreso a girare e l’ombelico di esso si sta allontanando da Washington, forse si potrebbe evitare di ricascare negli errori che ci accingeremo a ricordare per la centesima volta.
A cento anni da Sarajevo le cose non sono cambiate, sembrano solo un po’ più complicate.
Una guerra in Crimea c’è già stata, e aveva anticipato il conflitto mondiale di sessant’anni. Oggi, che le cose vanno più veloci, che internet ci fa visitare il mondo senza alzare il nostro pigro sedere dalla sedia, quanto tempo passerà prima della tempesta?

(di Giuseppe Squizzato)