Gli occhi chiusi, ma solo per un attimo

Quando mia madre chiude per un attimo gli occhi, mentre parla, proprio fra la fine di una certa frase e l’inizio di un’altra, allora vuol dire che la cosa sta iniziando a farsi seria. È come un tic nervoso che la accompagna da sempre. Quando aveva chiuso gli occhi quel giorno avevo sentito un brivido sulla schiena. Era venuta a trovarmi per vedere la mia cucina nuova, per apprezzarla e per trovarci allo stesso tempo qualche piccolo difetto. Anche questo era un suo modo di fare tipico.

Le avevo chiesto “che c’è mamma?” e allora lei mi aveva detto che in tutta franchezza pensava che il mio imminente matrimonio fosse una grande cazzata. Le erano bastati pochi secondi per scegliere parole più affilate di mille coltelli che mi si erano infilate dritte in mezzo alla pancia. Avrei voluto dire qualcosa, trovare anche io le espressioni giuste per farlo, ma poi aveva riaperto gli occhi e mi aveva puntato lo sguardo addosso. Ero rimasta zitta. Aveva incrociato le mani rinsecchite poggiandole sul tavolo di legno, il suo anulare senza fede, lo smalto perfetto sulle unghie. Avevo pensato che era ancora una bellissima donna, nonostante la vecchiaia stesse iniziando ad abbracciarla dolcemente.

Avevo anche pensato a quando non ci sarebbe più stata ed ero stata investita da una sensazione di calore improvviso che risaliva dallo stomaco al cervello. Mia madre poi mi aveva chiesto di farle un caffè, come se quello che aveva appena detto fosse una cosa da niente che apparteneva già al passato. Avevo preparato la moka pensando al vestito da sposa che avevo appena ritirato dal negozio.

Non lo avevo ancora disseppellito dal suo involucro pesante. Se ne stava dentro l’armadio della camera che condividevo con il mio futuro marito. Sembrava un fantasma che osservava le mie mosse tutte le volte che aprivo le ante per specchiarmi. Mia madre aveva bevuto dalla tazzina a piccoli sorsi, lamentandosi come sempre che il caffè scottava. Le avevo detto di aspettare, ma mi aveva risposto che aveva fretta. Si era tirata su dalla sedia e mi aveva chiesto un bacio. Avevo appoggiato le labbra sulla sua guancia e le avevo fatte schioccare sulla pelle profumata di pesco. Era morbida e liscia, come quando ero bambina. Mi aveva salutato dicendo “pensaci, non sei felice”, poi era sparita nella tromba delle scale.

Due settimane dopo ho deciso di non sposarmi. Ho scritto a mia madre “avevi ragione, torno a casa”.

Lei mi ha risposto dopo poco, mi ha scritto “ti aspetto, ti ho comprato un letto nuovo”.