Guerilla

Scoppia una sveglia. Apro gli occhi, o almeno ci provo, incollati. La luce mattutina si è mostrata da non più di un’ora, e sono già in ritardo. Ancora dormiente mi metto sull’attenti, la guerra mi aspetta, lì fuori. Indosso la divisa: completo scuro, camicia malstirata, cravatta. La colazione ancora in gola, e sono già in marcia verso il fronte. Il vento mi sputa in faccia gocce gelide di pioggia. Qui il sole si fa desiderare, e quando c’è parla anche lui una lingua diversa dalla mia. Come la gente, come il cibo, ma almeno si lavora qui, dicono. Bus numero 71. Tram numero 122. Cuffie nelle orecchie. Metro numero 7. Penultima fermata, o terzultima, mi confondo sempre. Eccoli lì, i nemici. Indossano età e divise come la mie. Anche la rassegnazione nei loro occhi ci accomuna.
Uno ha un plico sottobraccio. Curricula da consegnare, forse. Forse già lavora. No, impossibile, troppo giovane. Scende alla mia fermata. Passo spedito, va nella mia direzione. Questa è la volta buona che mi prendono. Azienda medio grande. Esperienza qualificante. Il corso di lingua sarà pur servito a qualcosa. Piuttosto che fare il cameriere un altro mese torno in Italia. Entra nello stesso edificio a cui sono diretto io, il nemico. Aumento il passo, devo arrivare prima di lui. Abbattere la concorrenza. Troppo tardi. E’ già davanti l’ufficio. Arrivo sudato. Lui abbozza un sorriso solidale. Io no. Nessuna pietà. Entra prima lui, spero lo scartino, resta un po’, poi esce. Tocca a me. Capitalismo. Post-Capitalismo. Inghiottiti, masticati, e risputati in un involucro di bava appiccicosa e puzzolente. Vittime e carnefici di questa guerra fratricida. Neanche stavolta. Niente da fare. Neanche uno stage. Neanche gratuito. Trascino le gambe a casa. Mangio pane e ansia. Andrà meglio la prossima volta. Faccio il cameriere un altro mese poi torno in Italia. Per ora resto qui. Trincerato.

 (di Giuseppe Sambataro)