Hanami

Due parallele mi tagliano la strada: una sega i tronchi all’altezza delle mie ginocchia; è una barriera densa che si appiccica ai pantaloni. L’altra è più scura, copre le cime degli alberi e si perde in quello che è rimasto del cielo: vapori meno compatti color tortora, screziati di giallo e arancio più per le flare di sodio che per gli scarti di tramonto.
Cammino fra i plotoni di legno, nella palta dei sentieri ortogonali che si intersecano nei prati soffocati dal vapore e piombano oltre il recinto della scuola, più in là delle rotaie, dei parcheggi e della strada che divide in due i blocchi di palazzi e magazzini. I miei vestiti strusciano a ogni passo e sbriciolano l’assenza di rumore dominata dal traffico; il brontolare dei pneumatici è silenzio. Il tronco più sottile si divide, mi avvicino e distinguo viso e lineamenti scollarsi dai solchi della corteccia; occhi, capelli, spalle, fianchi prendono consistenza attraverso la condensa e poi addome, cosce e tutto il resto sono variazioni dello stesso colore, tonalità dal perla al carbone. «Non posso rimanere – sento scricchiolare le sue sillabe – a meno che tu non mi dica cosa sarà di noi». E io che ne so, dopo sarà tutto uguale e non voglio pensarci. Stiamo qui fra questi nastri umidi ora, perché poi ci sarà la solita tempesta di piumini; verranno giù fiocchi gravidi di polveri sottili, bombe che deflagrano senza danno apparente ma che riveleranno lacrime, riniti e broncospasmi. Lascio cadere le mie parole a senso unico, un vortice di petali che si accomodano a marcire nei tombini e mi appoggio allo strato esile di muschio e i vestiti si inzuppano, l’aria si raffredda mentre si allontana dove tutto va a morire nello stagno dove i marmocchi contano i gusci delle tartarughe, e spesso si confondono con le foglie di ninfee. Le grido di fermarsi e restare, ché i piumini non ci saranno per sempre, ché i verdi muscoli cardiaci perderanno la resina, diventeranno appiccicosi a causa dell’afa e poi ingialliranno e sarà ancora inverno ed è possibile che né io né lei saremo più qui né altrove e il traffico mi rimprovera per aver profanato il suo silenzio con i clacson degli autotreni.
Qui non ci sono i cazzo di ciliegi ornamentali, è tutta una questione di pioppi e perché sei uscita dal tronco, non lo sai che questo è il regno senza significato del presente dove il futuro non si attiene a programmi, nulla si ripete come le stagioni; quindi rimani con me a scaldare ancora la nebbia.

(di Natan Mondin)