Hiroshima mon amour

Questo non è un racconto normale, non è la classica storia in stile pulp/beat/hipster, in salsa wasabi in questo caso, che si legge solitamente su Lahar; anche perché non credo di essere in grado di scriverne di simili. Tuttavia Sakura mi ha incuriosito portandomi a condividere qualche riga.

Esattamente un anno fa stavo discutendo la mia tesi in Farmacia quando un mio amico, anche lui laureando, mi propose di accompagnarlo in un viaggio di laurea in Giappone. Non sono mai stato troppo attratto da quella cultura, ma non ci pensai un secondo ed accettai a scatola chiusa.

Il programma era chiaro: tour di Tokyo nella prima settimana, Kyoto, Osaka e Hiroshima nei giorni seguenti, con partenza da Venezia prevista per i primi giorni di aprile, in tempo perfetto per ammirare la famosa Sakura Blossom.

Purtroppo la stagione non era “calda” solamente per l’attrazione dei famosi ciliegi in fiore, ma anche, e soprattutto, per le manie di grandezza di un vicino di casa dell’arcipelago giapponese, il presidente nordcoreano Kim Jong-Un, desideroso di inviare i suoi messaggi d’amicizia travestiti da testate atomiche a mezzo mondo, in primis agli odiati giapponesi capitalisti. Ce ne sbattemmo alla grande e partimmo.

Lo shock emotivo più forte arrivò il 15 aprile scorso, data X per il lancio dei suddetti fuochi d’artificio. Quel giorno il nostro programma prevedeva la visita di Hiroshima.

All’ingresso del Museo della Bomba campeggiavano due timer: il primo contava i giorni passati dallo sgancio di “Little Boy” sulla città, il secondo quelli dall’ultimo test nucleare avvenuto nel mondo. 57 era il numero riportato da quest’ultimo e l’ansia che si potesse in un qualche modo azzerare a breve era quasi palpabile.

Nel Parco della Pace, inoltre, numerosi ragazzini in divisa scolastica accerchiavano una debole fiamma, ondeggiante nel vento della costa, la quale, sembrava più viva che mai nel ricordare a tutti come nel mondo ci siano ancora armi atomiche. Eppure fu proprio in quel momento, in cui la fiamma balenò negli occhi di ragazzini adolescenti che sembravano usciti da una puntata di GTO, che capii l’orgoglio e la fierezza del popolo giapponese: non c’era paura nei loro occhi, non c’era timore di dover affrontare un rischio simile che sembrava quanto mai attuale, c’era solamente mujō, ossia la consapevolezza che nulla rimarrà uguale a sé stesso nella vita, la consapevolezza di voler godere di ogni barlume di bellezza che il mondo ci regala. Anche ad Hiroshima.

(di Daniele Mengato)