I 10

«Il ga un motur in di ciap!», urlò qualcuno «Buttalo giù, vez!»

Lo Zingaro ruotò su se stesso, il pallone attaccato al piede come una sfera calamitata del Geomag. L’avversario, un marocchino con la maglia di Kakà, partì all’assalto, ma incontrò solo le mattonelle roventi della piazzetta. Incespicò nello spazio vuoto e perse l’equilibrio.

Lo Zingaro non rallentò nemmeno: si appoggiò alla sua schiena con l’avambraccio, facendolo cadere definitivamente a terra. Quindi filò dritto verso la porta.

Una ciocca di capelli fradici gli si scostò dagli occhi rivelando così Marcellina. La ragazza osservava in silenzio da bordo campo, dietro di lei il grande murales. Sulla parete della cascina, un Baggio di due metri palleggiava leggero; poco più in là si stagliava la Mano de Dios, le braccia aperte come una specie di martire.

Scartò Er Pupo senza problemi, passò la palla al Faraone solo perché doveva, perché così non gli avrebbero dato del veneziano, ma il compagno sapeva come stavano le cose e gliela ripassò subito. Esistevano solo lui, il pallone di cuoio e il Nigeriano: un metro e ottantacinque di diciassettenne incorniciato nelle linee di gesso della porta.

«Dai!»

La gomitata del Napoletano mirava alle reni. Fece appena in tempo a scostarsi e a indurire gli addominali per ricevere il colpo nella pancia. Non fiatò.

Il Napoletano era un ragazzo trasferitosi in paese da poco, occhi troppo azzurri per la pelle olivastra, testa rasata e un sopracciglio tagliato.

Cercò di aggirarlo da destra, ma questo gli si parò davanti. Provò una finta a sinistra, anche questa volta l’avversario fu più veloce.

Allora deglutì e per qualche assurdo motivo si mise a pensare. Di chi era stato quel “dai”, quella voce acuta, allarmata, che era rimbalzata per la piazza come il richiamo di un uccello alieno? Forse di Marcellina? Ma lei parlava poco e col tono basso, non aveva mai sentito quelle note prima. Era un “dai” per lui, per incitarlo a correre e a segnare? O per il Napoletano, perché lo ammazzasse e banchettasse col suo cadavere?

Affrontò la nemesi di petto, frontalmente. Il Napoletano però era più grosso, incassò il colpo e non si smosse di un millimetro. Lo Zingarò si ritrovo culo a terra.

«Sfigato», soffiò l’altro, ghiacciandolo dall’alto con i suoi occhi azzurri, e ci mancò poco che non gli sputasse in faccia. Poi ripartì verso la porta, la gloria, un destino splendente, un posto in nazionale, i mondiali di Mosca 2018.

«Te dise mi», ripeté la voce «Il ga un motur in di ciap».