Il buio alla fine del tunnel

“Sono solamente stufa, non ne posso più…”. La macchina sfreccia veloce. La galleria è buia. “Pronto? Pronto? Ah al diavolo.”.

Lancia il cellulare nel cruscotto e si concentra. Non vede molto. O al contrario vede troppo. Ci sono oggetti che si muovono nel buio, forme scure e incontrerete, senza peso e silenziose. Nessun rumore tranne quello del motore. Eppure qualcosa c’è. Si vede nel buio. Che poi non è uno solo. Ci sono tanti tipi di buio, gradazioni dello stesso nero grigio che copre tutto e ci rivela mostri, esseri invisibili. Come quando si è a letto, da soli, e si osserva il soffitto. Sì OSSERVA, perché lo si vede. Al buio. È da lì si sommano tutte le forme che la luce non mostra. Quella crepa che sembra un toro, quella ragnatela che chissà da quanto è lì. È la luce a mostrarcele, direte. È invece no, è il buio. Il buio di una camera chiusa, di una scatola nera, di un mezzogiorno d’estate.

La macchina sfreccia. All’ uscita della galleria la strada curva, c’è vento forte, e la luce abbagliante. La macchina sbanda. Precipita nel buio della luce di mezzogiorno.

Perché il buio non è tanto quello nero, scuro, invisibile che abita il tunnel e ci avvolge mentre lo percorriamo. Il buio ci aspetta all’uscita con il suo bianco accecante, che non si lascia penetrare, che non ci lascia vedere. Il nulla in quel bianco. Il nulla in quella luce.

“Pronto? Pronto?”