Il calcio era una cosa seria, anche per le bambine

A casa mia i mondiali di calcio erano una cosa seria, dovevamo esserci tutti e l’inno si cantava in piedi con una mano nel cuore, perché durante quel periodo estivo eravamo tutti italiani nazionalisti che credevano nel verde-bianco-rosso e lo sventolavano senza vergogna. Il portico dietro casa ospitava una massa di gente composta da zii, cugini, cugini di cugini, amici di amici, gente che passava di lì per caso. La tv era di quelle a tubo catodico, pochi pollici ma eravamo tra le famiglie con più pollici, e quindi la si metteva sopra un enorme scaffale in modo che anche quelli in ultima fila riuscissero a seguire la partita. Io, essendo piccola, potevo stare davanti e mi facevo venire il torcicollo a forza di guardare così in alto. Avevo sette anni e mi sentivo preparata per quella partita, conoscevo i nomi e i visi di tutti i calciatori. Nella scalata verso la finale avevo disegnato a mano un grafico per essere sempre informata su chi sarebbe stata la nostra prossima avversaria e per cercare di ipotizzare dei pronostici. Non facevo commenti a riguardo perché ero molto timida, ma soprattutto perché ero circondata da esperti: uomini che avevano giocato a calcio sempre, che avevano allenato dai pulcini fino alla prima squadra e come se non bastasse uno di seguito all’altro erano stati eletti presidenti di una piccola società calcistica di campagna; donne che avevano sposato questi ex calciatori, che erano diventate le first lady di questi presidenti e stavano crescendo piccoli giocatori; maschietti che praticavano solo il calcio e sapevano bene che se non eri bravo nello sport nazionale, eri uno sfigato. Io non avevo idea dell’emozione che si provasse quando la tua nazionale vince i mondiali. Ed ecco che eravamo arrivati a quel rigore decisivo e mi fidavo di Roberto Baggio ma quando mi svegliai dal torpore e lui, il mito, aveva sbagliato quel calcio, scappai da quella folla di gente avvilita che mi circondava e mi nascosi nel mio sottoscala, dove molto tempo prima avevo realizzato sul muro un suo ritratto celebrativo, presi un pennarello nero e con gli occhi lucidi cancellai il suo viso. Restai lì a fissare quella macchia nera sul muro e solo oggi mi rendo conto che quel giorno il calcio con tutti i suoi difetti e Roberto Baggio con tutti i suoi pregi mi avevano insegnato che a volte la vita ti pone delle sfide a cui tu puoi arrivare allenato e preparato ma non è detto che le cose vadano al meglio: nonostante questo devi lottare per essere l’uomo o la donna migliore che puoi diventare perché malgrado quel rigore Roberto Baggio verrà sempre ricordato per il grande uomo che è, dentro ma soprattutto fuori dal campo.