Il giusto tempo

Un piede premuto contro il muro di cemento, una mano aggrappata alla rete metallica, una spinta verso l’alto. Pochi istanti e mi ritrovo dall’altra parte. Sono il primo a scavalcare la recinzione. E solo ora mi rendo conto che non ho mai fatto niente del genere: mi chiedo perché. Mancava la giusta occasione, forse. I giusti amici. Il secondo a passare è Silvio, anche lui senza problemi. Marta invece fa più fatica. Non ha le scarpe adatte. Mi arrampico di nuovo e le tendo una mano.
Oltre la rete, l’unico rumore è quello delle fronde che ondeggiano sulla cima degli alberi. Soltanto a quest’ora tarda, l’afa dell’estate ha voluto cedere il passo a un filo di vento. Attraversiamo veloci l’erba bassa del prato fino alle piastrelle del bordo vasca. La piscina è uno specchio nero rischiarato appena del bagliore delle stelle. Niente luna questa sera. Parliamo veloci, sottovoce, ridiamo.
Poi ci togliamo i vestiti ed entriamo. L’acqua è calda. Getto un’occhiata al palazzo di fronte, oltre il giardino e la strada. Nessuna luce accesa. Nessuno ci ha sentiti. Aggrappato a fondo vasca, Silvio lancia schizzi, scherza e ride. Marta nuota lenta, la testa fuori dall’acqua, occhi stupiti e sereni. Io guardo ancora il buio, ascolto il silenzio.
Non ricordo cosa mi ha spinto a uscire di casa questa sera. Niente da fare in città, niente in TV. Niente in programma. Ho trovato Marta passando in bici davanti a casa sua. Fumava affacciata alla finestra.
Il centro era deserto. Avevamo preso da bere e ci eravamo seduti in una piazza vuota. Avevamo parlato fino a tardi, quasi solo di noi. Poi Silvio si era fatto vivo. Un messaggio. Era in centro anche lui.
Insieme avevamo attraversato la città. Portavo la bici a mano e Marta aveva provato a salirci sopra, ma era quasi caduta. Il caldo stava poco a poco scomparendo. Oltre le vecchie mura c’era il parco, animato dal vociare acuto dei pochi sonnambuli che, come noi, ancora si attardavano fuori dal letto. In silenzio avevamo superato i viali alberati per ritrovarci in un quartiere di strade strette e case basse. Poco oltre c’era la recinzione che chiudeva sul retro l’ampio complesso della piscina comunale. Una recinzione bassa, facile da scavalcare. Era bastato un attimo per decidere di farlo.
Marta e Silvio escono e si rivestono. Poi si siedono accanto alla scaletta, i piedi di nuovo in acqua. Mi chiamano. Nuoto piano verso di loro. Muovo una bracciata, respiro, poi un’altra. Cerco il giusto tempo. Lo trovo. Lo seguo. Non lo lascio più andare.

(Matteo Benni)