Il mercante di spezie
Alla mia Marta.

Venezia, 18 giugno 1717.

Dalla laguna sale una nebbia fitta e penetrante. Bussa alle ossa, insiste arrogante. Il campiello è gremito di gente. Ovunque imperano i vestiti sfarzosi e i profumi della nobiltà, in una continua lotta con la puzza di sudore e di piscio che permea le calli, in perenne conflitto con gli abiti logori e zozzi dei popolani. Venezia è anche questo. I nobili col profumo credono di annegarci la rogna, e le parrucche gli servono a non far vedere l’inestetico lavorìo della scabbia e dei pidocchi. Bah. Respiro a pieni polmoni questo odor di salmastro. E di droghe.  Mi muovo in questa dimensione acre e pungente, cercando con lo sguardo il mio obbiettivo. Non mi sfuggirà, ne sono certo. Mi faccio strada fra finti lebbrosi e ciarlatani  che urlano come dissennati, atterro un borseggiatore che ha avuto la malaugurata idea di avvicinarmi (ha sbagliato bersaglio, affari suoi, ora si farà un paio di bracciate in un canale prima di uscire bestemmiando) e mi dirigo a passo deciso, ma non frettoloso, verso quel venditore di spezie. Due armigeri accompagnano un condannato a morte maledicente in quella che sarà la sua ultima passeggiata. Sono di fronte al banco dello speziale, fra l’anice stellato e la lavanda. In alto, appese ad una trave di abete bianco, dove nemmeno la mano più abile può arrivare, penzolano tre radici di mandragora. Il mercante è intento a decantare le proprietà curative di chissà quale pianta. Dall’altra parte del banco una signora, decisa  ad arrestare l’invecchiamento del suo derma ad ogni costo. Avrà all’incirca ottantamila anni, millennio più, millennio meno. “Ehi, tu, mercante da strapazzo!” dico io in tono perentorio. quello Quello si volta, inebetito. “Sì, dico proprio a te, venditore di paglia marcia che non sei altro!”. A quel punto lo stupore si trasforma in ira, sublimando lo stadio fisico del disappunto.  La sua risposta non si fa attendere. “Come ti permetti di rivolgerti così allo speziale più rinomato di Venezia, mentecatto straccione ?!!”. Bene, penso. Si apre il sipario. “Mi permetto eccome, dal momento che mi vendesti della pessima erba di campo al posto delle soavi spezie che ti chiesi la scorsa settimana! senti qua!”. ” Ma cos…” disse lui. Troppo  tardi. gli Gli avevo già infilato nel naso il mazzo di maggiorana che tenevo nella destra. “Razza di deficente, che fai?” disse. Ed io: “Ti pare maggiorana, questa? Eh?? La paglia che serve da giaciglio ai maiali è più profumata! O pensavi che non me ne accorgessi, forse? Eppure le monete con cui ti pagai non erano false! Deficiente sarai tu, se speri di fregarmi!”. “Ma che diavolo dici! Io non vendo questa merda! Maggiorana! Non ha nemmeno lontanamente il profumo della maggiorana! Tieni, disgraziato! Questa è la maggiorana che vendo io! La senti la differenza???”. io Io annusai, aggrottando le sopracciglia. “E poi”,  aggiunse, “lLa settimana scorsa ero in quel di Genova! Non so chi ti abbia appioppato quello schifo di roba, ma di sicuro non ero io!!!”. La signora dall’aspetto antidiluviano appariva assai divertita dal nostro battibecco. “In tal caso, signore, le chiedo umilmente scusa.”, dissi io. “Chiaro è che l’ho scambiata per tutt’altra persona.”. “Ecco”, disse il mercante. “Così va meglio! E ricordati  che Marco Caco vende solo le migliori spezie che il globo terracqueo possa offrire! Ed ora vattene, o chiamo le guardie!”. Abbassai lo sguardo, farfugliando come un chierichetto colto in fallo dal prete. Buttai a terra il mazzo di maggiorana e me ne andai. Sentii chiaramente che inveiva nei confronti di mia madre e che la cariatide che rideva in maniera sguaiata. Ad un tratto il buon Marco si arrestò, si portò una mano alla gola, emise qualche breve, incomprensibile fonema, divenne paonazzo e stramazzò al suolo. La  vegliarda ora urlava. Il mercante giaceva riverso a terra, stecchito. “Davvero bravo, Amid l’egiziano, nel preparare veleni” pensai. La piazza era ormai lontana. Una barca mi aspettava, accostata al ponte di Rialto. Una signora mi porse un sacchetto contenente venti monete d’oro. Del resto ora lei avrebbe ereditato l’immensa fortuna che il marito aveva accumulato negli anni. “Mai tradire una donna”, pensai.  Mi avviai in una calle vicina, rubai una barca e sparii nella nebbia che saliva dalla laguna. Nella mia bisaccia ora avevo venti monete d’ oro… e tre radici di mandragora.