Il mio falso stravince il tuo vero

…Say what you can: my false o’erweighs your true.

Dì quel che puoi: il mio falso stravince il tuo vero. È una frase di Shakespeare che m’ha sempre colpito, e che spesso ho interpretato in maniera molto limitata.

In “Misura per misura”, Angelo tiranneggia Isabella, chiedendole un favore licenzioso in cambio della promessa di grazia per il fratello Claudio, condannato a morte. Immediata è l’interpretazione che si può avere in questo frangente, in questa situazione: l’austero braccio destro del Duca, acquisito per un breve tempo il potere, cede al suo lato oscuro, affermando la sua preminenza su Isabella, novizia in convento, rappresentante del lato chiaro, lucente.

Ma questa frase è molto più che una semplice espressione d’un gioco di potere. Si tratta di un proposito artistico, di un’affermazione programmatica che è fondante di un concetto basico nell’arte, sia essa figurativa, letteraria o di ogni altro genere.

Il mio falso stravince il tuo vero. È una legge immutabile che da sempre caratterizza l’arte, che la rafforza, che la rende tale: bella, ammirevole, ammagliante. Che ci spinge a cercarla.

Oscar Wilde esprime questo concetto in un dialogo purtroppo poco conosciuto, ch’è che è stato depauperato del suo valore artistico in quanto le idee, le massime, le affermazioni in esso contenute sono soventemente citate senza alcun riferimento all’idea di base di tale testo.

Ne “La decadenza della menzogna”, Wilde espone in maniera chiara ed articolata la sua idea di arte quale menzogna, quale splendida bugia. Essa è l’espressione del falso nell’uomo, delle sue più nobili fantasie, di come il mondo, la realtà, la natura dovrebbe essere: la vita, materia grezza di cui siamo fatti, è scomoda, brutta e noiosa. L’arte rappresenta la nostra unica opportunità di rifugio: una splendida bugia, in grado di rendere anche i più opachi, i più comuni tramonti invernali splendide e sublimi rappresentazioni della nostra essenza.

Quando si pensa al piacere, alle sue fonti, si finisce sempre per idealizzarlo, reinventarlo, stravolgerlo: è il concetto di nascita di un’opera.

Il vero non è che una rozza materia di cui l’artista si serve, che spesso cerca di prendere il sopravvento, d’esser autonomo, d’aver voce su ciò che è bello e ciò che non lo è: ma poiché il bello è falso, la natura non può che lasciarci annoiati, e la realtà, le sue banali rappresentazioni, sono sempre fuori moda.

È il falso che inventa la realtà. È un’idea che mai mi sono tolto dalla mente, e che continua a plasmare il mio ideale di bellezza, d’amore, e quindi di arte, che sono la stessa cosa. I modelli del bello sono sempre predefiniti, preesistenti alla realtà, al vero: mai è accaduto che la realtà abbia ispirato l’arte. Quando è accaduto, i risultati sono spesso stati mediocri.

Il Bovarismo esiste perché c’è stata davvero, tra di noi, Madame Bovary? No, è Flaubert che se l’è inventata, e all’uomo, tendente alla realtà, e quindi all’imitazione (la vita è per natura imitativa, e il suo soggetto preferito è proprio l’arte), è piaciuta talmente tanto che l’ha fatta sua.

Erano forse reali i tramonti che Gainsborough e Constable dipingevano? Davvero ciò che vedevano era così? A che pro allora riprodurre qualcosa che già così bello esisteva in natura? Semplicemente perché in natura tale bellezza non esiste.

Che dire allora dei suicidi che seguirono la pubblicazione del Werther di Goethe?

La menzogna è il rimedio all’orrore della realtà. È ciò che è falso che crea il nostro concetto di realtà, di esistenza, di bellezza, e quindi d’amore.

È ciò che non è chiaro che più c’impegna: una volta scoperto, perde d’interesse. Contiene in sé già il concetto di obsolescenza; è antiquato, è brutto.

C’è piacere nel leggere l’esatta riproduzione d’una storia, della vita, di vicende che con ogni probabilità avete già vissuto nel quotidiano? Zola e Verga hanno provato a riprodurre le loro epoche nei loro libri: fortuna loro che non ci sono riusciti, perlomeno completamente, altrimenti i Malavoglia o l’Assommoir sarebbero certo finiti nel dimenticatoio, o peggio, nella cronaca. Persino nel verismo, nel realismo, o nei film di Michelangelo Antonioni o Fellini, massimi esponenti del Neorealismo, v’è menzogna e falso.

Quando vedete Monica Vitti, chi è davvero? Vedete Monica, oppure Vittoria? Chi è davvero Alain Delon? È Frank Costello, Jean-Paul, oppure il Professor Dominici? Insomma, esiste davvero Alain Delon?

La nostra vita insegue il falso. Non c’è altra verità.

Coloro che si ostinano a cercare il vero nelle cose, rimangono spesso delusi, oppure trovano piacere nel brutto, che è mentire a se stessi. Che è comunque mentire.

L’obiettivo dell’arte, e quindi della vita, è dire, vivere e sognare splendide, vivide, bellissime falsità, per allietare l’arido, breve tempo che ci è concesso.

Quando ammirate la “Madonna del cardellino” di Raffaello, oppure i dolci ritratti di Giovanni Battista Cima, oppure la Madonna col bambino del Beato Angelico, non soffermatevi mai su chi sono le persone ritratte, ma piuttosto su chi non sono, sul fatto che quella atroce bellezza in realtà non esiste, su come i nostri occhi, nonostante le immagini ch’essi ci regalano siano così nitide e perfette, ci stiano ingannando.

È questo che deve essere il principio cardine della vita: non cercare ciò che è vero, ma rendersi conto di ciò che è bello, piacevole, falso; nell’arte, e quindi nella vita.

Se pensate che questo mio pensiero sia falso, sappiate che per me è una lusinga, una prova, una conferma. D’altronde, rammentate sempre: il vostro falso soggiogherà sempre il mio vero, e quello di qualcun altro il vostro.

Ad libitum.