Il regalo

La Vigilia di Natale usciva sempre alla stessa ora. In giro non si vedeva mai, tranne la sera del 24, la stessa sera in cui la sua fidanzata si era ammazzata dodici anni prima, una lettera, poche righe.
Trascorreva la Vigilia in giro per l’autostrada. Abitava vicino all’autostrada. Il suo era l’ultimo di una serie di palazzi e villette a schiera che avevano costruito recentemente. Dalle finestre non si vedeva nulla, di giorno altre mura e asfalto, di notte ancora mura e dall’altra parte il buio, e il rumore delle macchine era quasi insopportabile, e le prime volte capitava che qualcuno in piena notte si fermasse a parlare e a fumare con il vicino sul pianerottolo perché nessuno riusciva a dormire.
Lo chiamavamo “Il regalo”. La sua fidanzata si era ammazzata lasciando la lettera sotto l’albero. Faceva barba e bidet, alle nove e un minuto usciva di casa. Per arrivare al primo autogrill ci volevano circa venti minuti.
Contava di essere lì per prendere un caffè e per la prima scopata. A quell’ora la strada era libera, e ogni anno arrivava con qualche minuto d’anticipo, ma riusciva lo stesso a seguire quasi per intero la sua trasmissione preferita di musica classica, stava scendendo dalla macchina che ancora suonava “La Pastorale” di Händel.
 Negli ultimi anni aveva iniziato a prenderla da dietro, gli piacevano le donne in carne, stringere il braccio intorno alla pancia che ballonzolava sotto la divisa logora, e quelle calze e quelle mutande che tirava giù e sembravano non arrivare mai alla fine, dicevo, la prendeva da dietro perché non riusciva a guardarla in faccia, la donna delle pulizie che lavorava in quei bagni era una bella donna, i capelli biondi e gli occhi grigi, il naso schiacciato su labbra piccole, quello superiore più carnoso rispetto a quello inferiore. Aveva tre peli sul mento, tre lunghi peli neri, erano arrivati con la vecchiaia o forse all’inizio non ci faceva caso e basta, aveva iniziato fissarli, risaltavano chiaramente su quelle piastrelle grigie e non riusciva a pensare ad altro, infatti il Natale di due anni prima non era venuto e tutto il suo piano aveva rischiato di saltare. Si nascondevano nel terzo bagno sulla sinistra, restavano in piedi, lo sciacquone partiva ad intervalli di tempo regolari e si confondeva con i sospiri della donna e con i suoi grugniti, e in alcuni momenti gli scappava da ridere, cosa che non gli succedeva praticamente mai durante il resto dell’anno.
Arrivava all’autogrill successivo quaranta minuti dopo, era ormai buio e il grande parcheggio che si trovava dietro l’area di servizio era perfetto, era l’autogrill che preferiva, ne doveva saltare due più piccoli e insignificanti (uno aveva i bagni sempre rotti) prendeva patatine fritte, due hamburger (uno con un cetriolo e uno senza) e un giornale, tornava in macchina, la spostava, e si fermava accanto ad un camion qualsiasi, iniziava a mangiare aspettando che si accorgesse della sua presenza. Gli andava bene praticamente ogni anno: quando il camionista scopava con una puttana lui riusciva a farsi una sega, poi il camionista si accorgeva di lui e lo picchiava. Quando non c’era nessuna puttana il camionista scendeva e lo picchiava lo stesso. Il parcheggio era buio, ed entrambi riuscivano ad andare sempre fino in fondo.
Alle 23.30 partiva per l’ultimo autogrill, un autogrill a ponte dove avrebbe trovato delle docce. Entrava, i bagni erano subito sulla sinistra, la cassa alla sua destra ma la cassiera era nascosta da una parete di sigarette e non si accorgeva mai di lui, ogni anno lui entrava poco prima della mezzanotte coperto di sangue, euforico e dolorante, restava una mezz’ora sotto il getto d’acqua bollente. Finita la doccia tornava al bar per bere un bicchiere di latte senza schiuma, comprava un regalo alla sua fidanzata, entrava in macchina, lo impacchettava con cura e tornava a casa.
Sotto l’albero c’erano ancora tutti e dodici regali, uno per ogni anno che era passato da quel giorno.

(di Alessandra Perna)