Intro-verso

I polpastrelli di Lea scivolarono sui mattoni smussati dal tempo, tastando scanalature e porosità.

Sapeva quali erano gli effetti degli acidi e dei grassi della pelle umana sui reperti antichi, aveva studiato come il tocco di un dito sulla punta umida di una stalattite potesse comprometterne la crescita per sempre. Ma a volte proprio non sapeva resistere a quel piacere.

«La vicenda de L’Abesse de Castro è uno degli scandali più celebri della storia», proseguiva con tono ispirato la Mariani, «anche se ovviamente molti risvolti romanzeschi furono inventati dallo stesso Stendhal».

Lea sobbalzò. Le sue dita avevano incontrato qualcosa. Una fessura.

Si trattava di uno spazio vuoto tra due mattoni, lungo una decina di centimetri e largo due. Era proprio all’altezza dei suoi occhi. Si accostò all’apertura.

L’oscurità oltre il muro era talmente densa da sembrare piena. Fu cieca per un istante, ma il suo naso percepiva qualcosa. Un odore vecchio e familiare. Il solaio della nonna, quello dove aveva paura ad entrare quando era piccola: quando era costretta ad andarci per qualche motivo, poi scendeva le scale di corsa, senza guardarsi alle spalle.

«…solo quando l’Inquisizione trovò il bambino, setacciando la casa della balia a cui era stato affidato, suor Elena decise di rivelare chi fosse il padre, sperando che in questo modo la vita del piccolo fosse risparmiata… non il vecchio servitore … ma il vescovo…».

Anni dopo, quando la nonna era morta, lei e la mamma ci erano tornate per svuotarlo. Trovarono lo scheletro di un uccello morto, al centro della stanza. E piume grigie. E quello stesso odore.

Il buio si spalancò dinnanzi ai suoi occhi. Le sembrò di distinguere forme nere, linee che disegnavano gli angoli di una stanza minuscola. Un ammasso di stracci sul pavimento.

«E quanto ci mise a morire?», domandò.

La Mariani sorrise. «Non morì. C’erano aperture nel muro attraverso le quali le consorelle introducevano cibo e acqua. Dopo quindici anni, la pena finì e lei fu libera di andarsene. Ma non lo fece. Non aveva più un posto dove andare, così decise di rimanere lì, per sempre». La professoressa sospirò: «Noi invece dobbiamo sbrigarci. Coraggio ragazzi».

Lea si staccò dalla parete e seguì il gruppo giù per la scalinata in pietra, senza voltarsi. Non riusciva a smettere di pensare a quello spioncino e a chiedersi a cosa servisse. Se alle suore per sorvegliare la badessa da fuori o se invece a lei, per spiarle dall’interno.

E il pensiero le grattava sulla nuca come un’unghia spezzata.