Kiss or Kill

Mi chiamo Mark Twight. No, dai che non è il mio vero nome. Ma tanti anni fa ho letto un libro. C’era questo alpinista americano che parlava, nelle prime pagine, di come in montagna, come altrove, non dovrebbe esistere il cazzeggio. «Mark, ci sono tipi che cazzeggiano così in montagna?» gli chiedono a pagina 5. E lui risponde: «Certo che ci sono, ma nessuno vivo».
È per questo che quando il “romano” in giacca tecnica inizia a fare il furbo con tutti, a scherzare sulla consistenza dello stufato, a dare di gomito gettando gli occhi sul culo della mia collega, qui al rifugio, io non ci vedo più.
Mi chiamo Mark Twight, ho 38 anni, e non ho memoria di una vita prima della montagna. Ho imparato a camminare sui sassi, in salita. Ho le rughe di un ottantenne. La pelle piena di macchie e le mani sempre sporche. E odio il rumore della città. Lo odio anche quando lo portano quassù, da basso, con i loro zaini da 45 litri, i loro scarponi ramponabili, i loro telefoni che non prendono mica, quassù. E mi chiedono se ci sia il wifi a 3200 metri. No che non c’è, amico. Beviti un altro genepy. Sentiti parte della natura, parte del tutto.
Il “romano” è uno di quei tipi che inizi a detestare appena varcano la porta di ingresso. Di solito sono medici, o ex poliziotti. Vanno in montagna perché i loro padri andavano in montagna. Si tengono in forma facendo qualche chilometro di corsa al giorno e mangiano bio. Pensano di avere il diritto di alzare la voce, e raccogliere quarzi, e sviare dalle vie tracciate in nome di non si sa quale esperienza. Si sentono eroi e vogliono essere tuoi amici. Però fanno battute sullo stufato. Guardano il culo della Selene.
Faccio il giro del bancone, vado al tavolo del “romano” e lo faccio alzare, davanti alla sua comitiva, che inizialmente osserva più divertita che preoccupata. Restano senza fiato, però, quando carico il ginocchio e colpisco le palle flaccide di quel medico o ex poliziotto e lo sento gemere con il sibilo di un serpente, vomita lo stufato dal dolore, perde sangue dal naso, ché in quota succede. «Domani niente scalata, mi sa, dottore».
Esco dal rifugio, consapevole che non ci metterò più piede. È agosto. Sono le 22.03. Sta iniziando a nevicare.