La buccia delle pesche

Io ogni volta che penso al mare penso sempre a quando i miei mi portavano al mare da piccolo e mamma restava sotto l’ombrellone durante l’ora di pranzo mentre io accompagnavo papà in un’edicola davanti al mare dove comprava i cruciverba, che a lui è sempre piaciuto fare i cruciverba, sta lì ore ed ore e li finisce tutti e io, ora che quando mi guardo da fuori mi sento assomigliare a lui, come l’altra sera che ho preso una pesca e l’ho sbucciata piano e l’ho tagliata a pezzi e l’ho mangiata solo seduto al tavolo della cucina che vedendomi da fuori mi sembrava di avere proprio il suo modo di fare, come quando sono in ascensore e mi guardo le mani e anche se sono la metà delle sue io ce le rivedo tutte, ecco anche ora che, dicevo, mi sento assomigliare a lui quando mi guardo da fuori, io i cruciverba mica riesco a riempirli tutti. E quindi compravo libri, che quelli invece son sempre stato capace di finirli, che ricordo che mia madre si lamentava sempre che stavo chiuso in casa a leggere e le mamme degli altri che i figli stavan sempre fuori a giocare e io pensavo a com’erano strane le madri, che si lamentano sempre. E da mia madre non ho preso né le mani né il modo di sbucciare la pesca stando seduto al tavolo da solo – quello l’ho preso sicuramente da mio padre. Da lei ho preso la tenacia di restare ancorato alle mie idee come un vecchio marinaio e di voler arrivare lontano – che io ho un po’ questa fissa di voler arrivare da qualche parte nella vita quando poi sto bene dove sto come sto. E questa fissa di voler arrivare l’ho presa sicuramente da lei che è cocciuta come un coccio, come il più cocciuto dei cocciuti, che noi gemelli siamo testardi, quando ci mettiamo in testa una cosa resta radicata come una quercia secolare, ma lei è un leone, non un gemelli, anche se alla fine siamo uguali. A me i leoni poi son sempre stati un po’ sui i nervi che in un romanzo che ho letto una diceva che l’amore è vigliaccheria, ci getta in pasto ai leoni ed è vero, sono d’accordo, ma io i leoni vorrei imparare a domarli per cui mi stanno un poco sui nervi fintanto che mi rosicchiano. E in un altro libro di una scrittrice di cui non posso fare il cognome ma che si chiama Elsa e ecco, di scrittrici che si chiamano Elsa non ce ne sono tante, questa scrittrice di cui non posso fare il cognome diceva che a lei, i genitori, ‘hanno lasciato una rara forma di paura, quella di non essere amati’ e secondo me, a me, mia mamma mi ha lasciato anche un po’ di quello.