La Chiave

Era decisamente insulsa. Così beige e inutile, priva di un qualunque motivo di interesse, riusciva a creare attorno a sé un muro invalicabile di indifferenza nel quale ben presto decisi di rifugiarmi. Non avevo alcuna voglia di parlarle, ma ero ancora più disgustato da quella cena. Odio dover dividere un tavolo con gente che non ho scelto, odio dover rivedere le stesse facce che il resto dell’anno cerco di evitare lungo i corridoi o alla macchina del caffè, odio i buffet perché il mio perenne appetito e il mio amore per l’alcol vengono terribilmente limitati dall’eleganza che cerco di autoimpormi e dall’avere due sole mani.
Fu così che mi ritrovai a chiederle il suo nome, che scoprii che si chiamava Luisa, che quella era la quarta volta che glielo chiedevo, e che ogni mattina arrivavamo entrambi con lo stesso puntuale ritardo e che lei sapeva benissimo il mio nome. Non pareva però essere offesa o dispiaciuta, anzi aveva quasi abbozzato un sorriso sincero e delicato.
Aveva un viso privo di simmetrie, la pelle bianchissima contrastava col nero dei capelli. Era molto bassa e piuttosto in carne, ma le gambe erano dritte e per nulla sgradevoli. Portava un vestitino giallo molto delicato che conteneva a fatica il suo seno quasi sproporzionato che non mi nascondevo dal fissare. Possibile che non l’avessi notato per tutto questo tempo? Era sbocciato davanti a me all’improvviso per sbeffeggiarmi? Pur nella sua indiscutibile bruttezza, Luisa iniziava ad apparirmi piacevole, ad attirarmi a sé.
“Ho fame” disse spingendomi verso il tavolo dei dolci; sentii l’inaspettato contatto delle sue mani sui miei fianchi e il suo seno posarsi con forza sulla mia schiena. La guardai mangiare con posata avidità le tre fette di torta rimaste sul tavolo, lo faceva in modo affrettato, ma dava l’impressione di riuscire a gustarseli a pieno; un occhio poco attento l’avrebbe scambiata per una voracità animalesca, io vedevo la massima coscienza del gesto meccanico, perfetto, inarrestabile. Infine prese l’ultimo pezzo e in modo del tutto naturale mi imboccò facendo finire con scrupolosa attenzione la panna sulla mia barba, e senza attendere un secondo la leccò. La leccò fino all’ultima goccia, passando avidamente con la lingua ogni mio pelo, tenendola tra le labbra, assaporandola. Quando finì, sazia, io ero ancora assetato di lei, cercai inutilmente dell’altra torta, cercai pure tra l’erba, sotto il tavolo nella speranza di trovare la piccola chiave del piacere, ma lei se n’era già andata.