La configurazione tattica di Katsuro Miyagi III | 20lines

Katsuro Miyagi era ormai cintura nera del riposino nel bagno dell’ufficio.
Le quattordici ore giornaliere di concessioni mutui alla Banca di Tokyo regalavano quel giusto riconoscimento che la famiglia da tempo chiedeva.
Fare richiesta di orari meno disumani non era una possibilità.
Era diventato esperto nelle posizioni e nei gesti preparatori, il sonno arrivava istantaneo come fosse stato ordinato al take away sotto l’ufficio. Era talmente sicuro di quel suo segreto inconfessato che, quando il capo lo sorprese mentre sognava una di quelle signorine della pubblicità del detersivo, quasi non riuscì a distinguere il sonno dalla realtà. Il tonfo fuori da quelle mura fu immediato e lo tzunami che lo travolse possedeva senza dubbio i tratti somatici della delusione patriarcale.
“Il fallimento è l’origine del successo, ma nella nostra famiglia la vittoria è innata. O così, o morte, ricordalo Katsuro”, gli ripeteva il nonno da bambino spillandogli l’ultimo briciolo di orgoglio in un giro di menko. Il suicidio era la soluzione più ovvia e provò per tutto il giorno successivo a togliersi la vita ma, ripetutamente, fallì.
Il cappio si ruppe, precipitò in un cassonetto dell’immondizia, il coltello scivolò di mano nel tombino per strada. La morte, evidentemente, aveva aspirazioni molto più elevate che baciare il suo capo ispido e nero. In bancarotta da gesto estremo, vagò tra i grattacieli sperando lo inghiottissero, augurandosi che qualche scarto della società gli facesse il favore necessario.
Finché, digerito il destino da sopravvissuto, appollaiato davanti a una bottiglia vuota sulla riva della baia, capì che quel resto che avanzava alla vita era proprio lui.
Si sentì all’improvviso parte di una catena alimentare ben definita e capì che tutto ciò che resta di un bel niente è l’esatto spazio per un nuovo mondo.
Si frugò in tasca e vi trovò, paziente, la chiave che tutto avrebbe cambiato.

(di Serena Michelozzi)

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