La nostalgia delle cose che non sono mai state

Lo sguardo idiota l’aveva fin da bambina, Maria Teresa, che nel villaggio da tutti era chiamata ‘a crapa china ‘e merda. Fin da piccola con la madre era cresciuta in una spiritualità abituale, andava con lei alla messa, più volte al giorno anche, per servire il prete; che poi se era stata brava allora la donna tornando a casa le stringeva forte la mano.
Maria Teresa amava la strada del ritorno, significava per lei la via dell’abbandono: una volta a casa, a bocca aperta sarebbe andata verso le braccia del padre e lui le avrebbe baciato i capelli. A vent’anni il babbo era morto e lei portava il velo. Amava le sue madonne, una più d’ogni altra: era la Madonna dei Poveri sul Monte Crepo, nera nel volto e vacua negli occhi. Per pregare un crocifisso che pareva un taglio nel muro, Suor Maria Teresa ogni mattina si svegliava quando ancora il giorno era timido. E timida lo era pure lei, tanto paurosa che i suoi occhi avevano trovato il modo per non guardare mai quelli di nessuno: se osservava qualcuno o qualcosa, strabico, il suo sguardo volgeva comunque altrove, perso.
Passava le sue giornate nella chiesetta di San Giovanni, un rudere decrepito le cui pietre, macilente per il tempo, sfidavano la gravità: cadenti, sembravano essere le guance di una novantenne; aggrappate alla roccia del Monte Crepo come all’osso s’attacca la carne sfinita dei vecchi. Suor Maria sedeva per ore intere sui banchi freddi e duri con gli occhi suoi scemi che brancolavano in cerca della Madonna. Nella preghiera la vergine abbandonata, quando era in San Giovanni, non pronunciava parola: ebete restava avvolta in un silenzio infrangibile, mentre gli occhi vacui della Madonna dall’alto la spogliavano. Nuda e rapita, in quei momenti Suor Maria si sentiva mancare: non aveva più volontà, né ricordi, né nome. Dimentica di sé e di ciò che le stava intorno, pur restando dov’era, bucava i muri, frantumava le forme. Negli occhi vacui della Madonna, Suor Maria trovava le cose che non erano mai state, ciò che non c’era prima che ci fosse: erano gli occhi di sua madre prima che lei nascesse, il suo ventre vuoto. Era finalmente un crollo totale nell’oblio del mondo, un tuffo nella non-dimensione del cosmo increato.
Negli occhi vacui della Madonna, Suor Maria si guardava da fuori: un corpo vuoto, un fantoccio inerme perso tra i banchi, la sua carne che nient’altro era che un delirio immondo.
Quando la sera poi tornava al convento, sotto a quel crocifisso che sembrava bucare la sua cella spoglia, Suor Maria si sentiva come da bambina, di nuovo tra le braccia del padre. E s’abbandonava così a un sonno antico e filiale, in un abbraccio dove lei stessa era l’abbraccio che sentiva. E in quell’amplesso arcaico, vecchio come il mondo, Suor Maria stringeva l’assenza categorica che fende il cuore di ogni uomo, quell’irrevocabile nostalgia che fa sì che laddove l’essere c’è, qualcosa manchi.

(di Francesco Rizzato)