L’ipotesi

Tutto è così ovattato e lento, i pensieri sembrano fili di lana mentre lei è avvolta nelle lenzuola, come un bozzolo maldestro. Odore di bucato su quel corpo acerbo e caldo. È l’alba e fuori la nebbia violenta la provincia. Fa scivolare le gambe, le stende, scioglie il guscio, lei che dorme come un feto nel ventre materno.
Le sei del mattino sono un’ora troppo vigliacca per mettere in verticale quell’organismo in divenire.
Dove vuoi andare, bella bambina? Un passo dopo l’altro sul parquet, scivola con i calzini e giù una tazzina di caffè, per farsi forza e per sentirsi un po’ più grande.
Due cucchiaini di zucchero e uno di cacao dolce perché l’essere adulti è solo una posa.
Stira i capelli lunghi, si dà un tono, una riga nera spessa e infame sopra le ciglia le disegna nuove fisionomie. Tutto è così sbagliato e goffo perché la sua identità è un’ipotesi, è una creatura in perpetual beta.
Sono tutti in attesa, come fusi in equilibrio alla fermata del bus, tremano nel buio freddo. È il silenzio.
Da qualche parte mosche di musica evadono da un paio di cuffie.
Tutti i giorni la stessa liturgia, noiosa e angosciante, perché è così che si vive quando non si sa ancora che quelli saranno i giorni più lievi di un’esistenza intera.
Corre, sale, spinta, arriva il caldo come l’alito del demonio in faccia, i sedili sfondati dell’autobus di linea, un posto sacrificato, odore di deodoranti scadenti e tabacco.
Tutto scivola attraverso le fermate e lungo i pensieri. Fermi.
Dov’è? Scava tra i volti, rovista, è una cartomante smaniosa. Lui è l’arcano della luna.
Respiri di sonno, vociare, protagonismo indesiderato, anarchia. Sale, non c’è posto, è lì, in piedi, vicino a lei. Quanto basta accanto per essere guardato ma abbastanza lontano da sentirsi al sicuro. Lei non si rivela, come in un’auto blindata a compiere il suo reato d’amore: sognare. Lui: idealizzato nella struttura logica di un’incognita da trovare. Bloccati nei frammenti tesi in cui si può essere chiunque per l’altro. Come ti chiami? Sarai per sempre l’oceano. È un dio ignaro e crudele che rivolge i suoi occhi cerulei altrove?
No, l’ombra di lei a riflettersi sul finestrino, il pensiero di lui già la stringe a sé.
Un sorriso fine, la malizia del rincorrerne furtivo i tratti.
Se solo lei sapesse.
Non può esigere nulla dalla penombra e dall’onnipotente forza del caso. Loro, anime fragili malaccorte, e il tempismo inesperto come una folata di aria fredda.
Tamburella le dita sul bordo vertiginoso di quello che avrebbe potuto essere.