Lontano

All’inizio la botta è così forte che non ti rendi nemmeno conto, le cose ti girano attorno veloci e confuse, e rimani stordito, immobile. Ma poi lo senti il vuoto, come un buco nero sopra la bocca dello stomaco, ti prosciuga, ti succhia via l’energia, e sprofondi. Quando è morto mio padre avevo sedici anni, mi ricordo poco del funerale, dei giorni successivi, delle parole delle amici. È rimasta solamente qualche istantanea sbiadita, sfocata. Ma il vuoto che ho sentito me lo ricordo eccome. Succede che si forma questo buco profondo che ti mangia un po’ alla volta, scaricandoti del tutto, lasciandoti sfinito. Con il tempo, con gli anni, ti riesci a riprendere lentamente, ma il vuoto rimane sempre, alcuni giorni non ci fai caso quasi, certe notti ritorna insopportabile. Rimane lì, dentro di te, te lo porti dietro, stanne sicuro.

Il vuoto ti fa riflettere, ti fa pensare quando senti le persone parlare della vita e di quanto sia fantastica, con i suoi  sorrisi, l’amore l’amicizia. E di colpo pensi che tutte queste cose possono essere spazzate via in un istante da una singola stronzata che ti travolge sul più bello, magari proprio quando stai andando al massimo e pensi di essere invincibile.

Mio padre è morto a causa di una emorragia cerebrale, una mattina di estate come mille altre, mentre lavorava allo sportello della banca. Così, di punto in bianco. Fino a quel momento era sempre stato benissimo, una salute di ferro. La sera prima mi ricordo che avevamo litigato, non ho fatto nemmeno in tempo a chiedergli scusa che ero all’ospedale con mio fratello e mia madre. Ci sentivamo persi, uniti ma del tutto disorientati. Nessuno di noi parlava, qualsiasi parola pareva superflua in quella circostanza, siamo stati abbracciati per tanto tempo, in silenzio.

“Soltanto il tempo può rimarginare le ferite” ti dicono, ma sono tutte palle, possono passare cento anni ma farà male sempre. Puoi imparare ad accettarlo, il male. Tanto il vuoto ci sarà sempre, ti farà sempre gelare il sangue, ti chiuderà lo stomaco, non ti farà dormire per l’angoscia che ti butta addosso. Ma in fondo credo che faccia parte della nostra vita, è inevitabile come respirare. Io ho deciso che non voglio più stare a pensarci, è difficile ma ci provo, sto imparando a farlo anche quando mi sembra che si stiano spegnendo tutte le luci. E vaffanculo al vuoto, penso chiudendo gli occhi, proiettandomi mentalmente verso tempi migliori, lontano dalle paranoie, lontano dalle parole di questa storia.

(di Paolo Gamerro)