Mukbang

Dicono che sono solo, che ti guardo perché non sopporto più di mangiare senza compagnia. Ma una famiglia ce l’ho, mamma mi chiama per scendere e pranzare insieme, invece preferisco starmene chiuso in stanza e osservare la grazia con cui versi i ramion nell’acqua bollente e amalgami gli ingredienti, mi conquisti. Uno a uno con le bacchette allinei sul vassoio i topokki che gocciolano zuppi di salsa rossa, avvicini la bocca alla porcellana, la spalanchi per accogliere il plotone di gnocchi di riso e succhi, aspiri per raffreddare, perché il calore è insopportabile, spremi l’aria, allevi il bruciore del gochujan terribilmente piccante. Io sono riso, sono sugo che tu inghiotti. Mi riempio e mi gonfio mentre guardo e ascolto e non sono mai sazio dei tuoi rumori, delle tue risate e del tuo mangiare compulsivo. Vado al lavoro con cuffie e telefonino, siamo soli, io e te nel vagone affollato, io te e la musica delle tue mandibole. Godo di riflesso, godo nel sentire sfrigolare la pancetta, vederla trasudare grasso mentre tu la porti in favore di webcam e poi l’allontani, e diventa sempre più piccola fino a quando scompare fra le tue labbra. Mastichi e sussurri, dici che non posso capire quanto possano essere sugosi quei bocconi di porco.

Accanto a te scorrono le domande degli altri fan mentre un Doraemon allibito ti osserva dalla libreria, gli altri ti scrivono, vogliono la tua attenzione:

Hai il fidanzato?

Come fai a essere così magra?

Dove compri i tuoi trucchi?
Chi è il tuo parrucchiere?

Che marca di olio usi?

Rispondi a bocca piena, la voce impastata e grassa si confonde con l’eco incessante del lavoro dei tuoi denti, ma sei solo mia, ed è me che stai fissando mentre qualcuno si sente in dovere di darti dei consigli per la salute, scrive che non dovresti mangiare così tanta carne, che fa male ai tuoi reni. Non ascoltarlo, continua a far rosolare pezzi di manzo sulla piastra. Nel fumo unto brilla il tuo sorriso impiastrato dall’olio di sesamo dei japchae. Inventeranno qualcosa, un sistema, che permetterà di trasmettere anche gli odori, allora la mia libidine sarà totale, ma mai appagata: riempimi, mangia, continua a ingoiare; ti guarderò per sempre inghiottire al posto mio porzioni infinite di jjampong e samgyeopsal, piangere mentre sgranocchi peperoncini, svuotare bicchieri di latte di soia per lenire il bruciore. Resterò appeso alle tue mandibole come un brandello scuro di jajamyeong e godrò senza peccato, perché non esiste colpa nell’assenza di contatto, non può esserci il male nascosto del tremore che si impadronisce del mio corpo che si è fatto cibo e che freme nel guardarti divorare tutti i miei desideri.