Ogni notte veniva e io tenevo gli occhi chiusi e facevo finta di dormire. Ogni notte veniva e, se dormivo veramente, mi svegliava. Alzava il lenzuolo e si distendeva accanto a me, mi accarezzava i capelli, li scostava dal mio orecchio, mi diceva che ero bella. Mi accarezzava e io sentivo il suo dito secco che percorreva la mia schiena, dal collo alle natiche, scendeva sotto l’elastico delle mutandine e poi risaliva, seguiva la linea della mandibola e arrivava alle labbra. Era a quel punto che dovevo aprire la bocca e sentivo il suo dito ruvido sotto la lingua, sul palato, sentivo l’unghia appuntita e sentivo la cuticola rialzata, le rughe delle nocche, aveva un sapore amaro e la sua mano odorava di polvere. Sentivo che la sua temperatura si alzava e sentivo che lui premeva contro il mio fianco, contro la mia anca. Quando non muoveva più il dito, mi faceva girare sulla schiena, si sedeva su di me. Io dovevo aprire gli occhi e guardarlo nella penombra e ogni notte lo vedevo meglio. Ogni notte, lui prendeva il coltello e se lo passava sul polso. Quando il sangue iniziava a gocciolare, mi appoggiava il polso alla bocca.
Ogni notte io bevevo.
Mentre bevevo, lui entrava dentro di me e spingeva e dava pochi colpi e io volevo che continuasse per sempre, ma lui smetteva. Se ne andava e da me tornava l’oscurità.
Venne quella notte e ripeté i gesti e quando fu dentro di me continuò fino alla fine, fu la notte più lunga. Prese il coltello. Bella per sempre, mi disse. Io gli dissi uccidimi se non ti servo più, fa’ ciò che vuoi. Bella per sempre, mi disse, e io ero nuda e lui era di fronte a me e sentivo il suo fiato umido sulla pelle ed era freddo. Rabbrividii. Non devi avere paura, mi disse. Sei pronta. Prese il coltello e girò la punta verso di sé, tra le clavicole e sotto il collo. Spingi, mi disse. Bevi tutto. Resta qui fino alla fine. Fino a quando sarò polvere. Poi va’ nel mondo, figlia mia. Va’ nel mondo e trova qualcuno, perpetua la stirpe. Mangia.
Io spinsi la lama dentro il mio sire.

(di Alessio Posar)