Orfeo in bicicletta

Il buio non esiste sulla terra. È un’astrazione. Io l’ho visto e non era quello della notte in mezzo al bosco. Quella è piena di stelle, di sussurri, di lontani bagliori. C’erano sempre, nella foresta, delle torce, dei guizzi, dei riflessi nelle pupille degli animali notturni. E non è neppure quello che provo a creare, per dormire, nella mia stanza. La luce dei lampioni, per quanto tenti di schermarla, riesce a infilarsi sotto le persiane, a strisciare fino alle mie palpebre, rimbalzando sulle pareti e sui vestiti sparsi ovunque. Non esiste notte totale, in città. E nemmeno nelle profondità marine, dove scaglie iridee e tentacoli fluorescenti interrompono di tanto in tanto le correnti oscure. I pesci ciechi della fossa delle Marianne forse la conoscono, ma sono troppo distanti e muti per confermarcelo.

Io, però, la totale assenza di luce l’ho vista (ma sarebbe meglio dire non-vista). Era nella mattina di settembre più luminosa che possiate immaginare. Era in due occhi non belli, un po’ bovini, che avevano sempre fuggito i miei quando vi indagavo con troppa solerzia. Dentro quelle pupille che guardavano altrove, mentre parlavo di derive, di vino, di ciottoli e biciclette, non c’era niente. Nessun riflesso o bagliore o tentacolo fluorescente – figuriamoci le stelle e le torce. Impossibile scorgervi anche la luce più fioca. Sono per un attimo annegata, in tutto quel nero informe, stupita dalla sua vastità, da un silenzio inumano, quello dei morti. Ma l’apnea è durata un respiro. Una volta riemersa, il sole delineava ancora i contorni dei sanpietrini e dei campanili, sfavillando sui cerchioni della bici con cui mi sono allontanata. Immersa nella luce del giorno. Senza voltarmi.