Ossessioni

Immaginati di essere in una stanza, la tua stanza. Devi uscire, a breve dovrai dare il meglio o il peggio di te. Due ore di esercizio fisico, un po’ di libertà, un buon momento per sfogarsi un pò.
Prendi la sacca velocemente, tocchi l’angolo del muro, tocchi l’altro, guardi il libro del Che, esci. No, non va bene.
Torni indietro e ripeti. Sei fuori. Apri la porta di casa, la chiudi. La riapri, entri e tocchi oggetti precisi, gli angoli della stanza. Esci. Devi rifarlo, ma sei in ritardo. Devi rifarlo, ma sei in ritardo.
Non lo fai. Ma se non lo fai muori. Allora riapri, richiudi. Non lo fai. Scendi le scale di corsa tocchi gli angoli dei muri, tocchi il corrimano. Scendi lo scalino, risali, riscendi.
Sì, forse questo racconto sarebbe troppo lungo e monotono. La strada per arrivare in palestra sarebbe troppo noiosa da raccontare, perché sarebbe un continuo toccare, tornare indietro, scacciare pensieri.
Sembra un mondo di gesti,di rituali. Forse lo è. Ma tranquillo basta qualche settimana e ti abituerai. Non ti accorgerai quasi più della stranezza di certe azioni.
Perché saranno anche strane agli occhi degli altri, ma sono necessarie. Senza non potrai sopravvivere.
Abituarsi però non è la parola esatta per descrivere il tuo rapporto con loro. Perché comunque prima o poi ti incazzerai. Ti incazzerai sì, perché non ci puoi proprio fare un beatissimo cazzo.
Tutta la volontà che predichi, in quel momento sarà accanto a te, seduta, addormentata.
Certo però avrai una routine un pò diversa dalla massa, pensa positivo!
Sei davanti all’entrata, sei completamente bloccato da un tarlo. Sta viaggiando lentamente tra i tuoi pensieri e se li pappa tutti per poi rimanere soddisfatto, lì, fermo. È una paura. Hai semplicemente una fottuta paura. Paura di che? Di vivere, è ovvio, no? No, non è ovvio.
E allora ti giri e il gioco dell’ “immagina che” è finito. Sei di nuovo tu con le tue scarpe nuove ai piedi. Respiri ad un buon ritmo sostenuto. Che cazz… ? Dov’è che eri rimasto?
Ah, sì: è passata l’ambulanza e tocchi ferro.
Forse, io e te non siamo poi così diversi.

(Martina Di Soccio)