Penitenza

Sta nel peccato la massima forma d’umiliazione dello spirito. Sta nel dolore della riflessione, nello sgomento del pensiero e della meditazione, nella fredda consapevolezza dell’errore e dello sballo. Ed è in questi momenti che la natura umana può assumere il candore, la purezza troppo spesso dimenticate.
Antonio Canova ben sapeva che nel peccato, nel dolore e nell’umiliazione del pregar perdono la bellezza s’esprime con estrema intensità, con la sincerità ch’è propria della sofferenza.
Tra il 1793 e il 1796, questi concetti si palesano in un’opera sensazionale, ch’ancor oggi sono la sintesi della bellezza ch’avvolge l’animo umano nell’istante in cui s’abbassa, s’accascia.
La Maddalena Penitente del Canova, di cui esistono tre copie (due in marmo, conservate rispettivamente all’Ermitage di San Pietroburgo e a Palazzo Doria-Turisi di Genova, e una in gesso, presso la Gipsoteca di Possagno) è il manifesto dell’umiliazione dell’anima e della meraviglia ch’il corpo assume nella più bassa ora della vita umana.
È la rappresentazione massima di ciò che vuol dire la disperata richiesta del Divino, della redenzione morale ed etica dell’Io, dell’esaltazione del più importante valore della Cristianità: il Perdono.
È la Maddalena più di tutti il simbolo di come il voler divino possa esser presente anche nei più bistrattati, nei più umili, nei più vilipesi: essa, nella tradizione più antica, è sempre stata identificata come entità peccatrice ed impura. Sebbene a lungo si sia discusso su questo fatto (essa era stata spesso identificata come l’adultera salvata da Cristo, piuttosto che come Maria di Betania), e che, ufficialmente, la tesi del 591 d.C. di Gregorio Magno sia stata rigettata dopo il Concilio Vaticano II del 1969, ad inizio ‘800 queste tradizioni resistevano e la sua identificazione come figura peccatrice era più o meno accettata.
Quando non impegnato in commissioni raffiguranti importanti personalità del tempo, il tema biblico e mitologico è sempre stato centrale nell’opera del Canova.
In questa scultura in particolare, le migliori qualità dell’artista della Serenissima si palesano: lo stile e la posa drammatica della Maddalena sono intensissimi. Genuflessa, le mani offrenti, pesanti, che gravano sulle sue ginocchia, ispirano un patetismo che di rado ha, nella storia dell’arte, raggiunto tali livelli.
La posa, nonostante abbia tutti gli stigmi dello stile neoclassico, ossia la teatralità e la rigida compostezza formale riprese dalle antiche opere greche, presenta una drammatica fisicità e capacità di ispirare l’idea di un possibile movimento allo spettatore. È la pesantezza del capo, della schiena, delle membra della donna che, paradossalmente, portano chi sta intorno a pensare ad un possibile movimento. Ciò è reso soprattutto dalla scelta del momento riprodotto nel corpus scultoreo: una situazione di stasi, che però può esser rotta da un momento all’altro, dalla più piccola interferenza esterna.
I particolari, poi, sono sublimi: le proporzioni sono di una grazia senza uguali, così come la resa dei capelli, corposi e massicci, come tutto il bellissimo e seducente corpo di Maria. Le gambe sono, assieme ai seni, gli elementi di maggiore precisione formale corporea, con la loro bellissima resa prospettica. Le pieghe della carne sembrano reali, così come quelle della veste che copre le vergogne della Santa.
Specialmente nella versione di gesso conservata a Possagno, i particolari sono più definiti, e la superficie del gesso aumenta la luminosità dell’opera, quasi ad acuire il contrasto tra l’oscurità del momento, quello della caduta in virtù del peccato, e l’eterea seppur fisica, tangente luminosità d’una donna ancor bella, nonostante la miseria in cui si trova.
Può sembrar strano parlare di movimento, in un’opera neoclassica, ma in questo caso è del tutto necessario: il movimento che intende simboleggiare Canova è quello metafisico, spirituale. Quel movimento della coscienza che solo attraverso l’espiazione, le scuse e lo scotto del peccato è possibile, che spinge in seguito all’azione materiale, del corpo. È proprio in questa situazione che s’inserisce il concetto di attesa del movimento del corpo scultoreo della Maddalena: al seguito del chiarissimo movente emotivo e spirituale della rea, il suo corpo, guidato dallo Spirito Santo che redime, segue il suo esempio, ed ispira anche gli spettatori a muoversi verso di Essa, quasi a prenderle le mani, ad andarle incontro.
Cos’è il perdono? È andare incontro, verso un’anima pia ch’ha sbagliato, che ha peccato, che s’è abbassata. Cos’è la penitenza? È il medesimo muoversi, verso coloro che si sono feriti, offesi, traditi.
L’essenza della Cristianità è quindi nel movimento, dell’anima in primis, cui fa seguito quello del corpo, guidato dall’intelligentia celeste. Antonio Canova riesce ad incanalare tutto questo in un istante che, pur nella sua staticità neoclassica, riesce nell’ardua impresa di far muovere ciò che più d’ogni altra cosa è aspro smuovere: i nostri cuori.