Piscio di critico

Siede composto senza aprir bocca / ogni settimana ordendo tranelli / il dio dello sgarbo s’aggiusta i capelli / con l’altra mano in silenzio si tocca. /

Il tempo è propizio per certi galli / di far da se stessi l’intero spettacolo / specie per lui che è Vate e oracolo / nella trasmissione del furbo Merdalli. /

Sa l’urlo a memoria ma non è che finga / ché d’ogni polemica ha fatto mestiere / è lui lo spirito che muove il bicchiere / sulla tavola ouija d’ogni casalinga. /

Lo stile è efficace e assai ben oliato / si parte pian piano da una piccolezza / poi il tono di voce aumenta d’altezza / finché il contraddetto non vien massacrato. /

Siccome più d’altri ne ha dimestichezza / e come già ovvio di grida ci campa / il Vate si boria per mezzo stampa / d’ogni sua frase com’ovvia certezza. /

E mentre aspettava il segnale preciso / con cui il Merdalli gli dava il via / il nostro si perse nell’anima sua / e fe’ trasparire un sottile sorriso. /

“Sì dunque è questo ch’è la vita mia: / grazie alla testa che ho sulle spalle / di ettolitri mi sono svuotato le palle / in bocche assetate della mia magia”. /

Ma il tempo è tiranno e in questa valle / le lacrime toccano, presto o tardi, / tutti dai giovani fino ai più vegliardi / come pel Vate amar destin volle. /

Negar l’evidenza lo fanno i codardi / e lui codardo non vuole apparire / poiché al suo pubblico può anche mentire / spostando su d’altro i loro sguardi. /

Ma dentro al suo corpo si sentiva marcire / ché la giovinezza era ben che finita / i capelli ingrigiti come la sua vita / che presto o tardi potean finire. /

Siccome l’attesa sembrava infinita / i nervi si tesero a più non posso / finanche i neuroni e dentro ogni osso / e un brivido partì dalle fredde dita. /

Il brivido scese per ogni percorso / scorrendo giù lungo per tutta la schiena / scendè così in basso e di gran lena / che il Vate attonito si urinò addosso. /

Con occhi sbarrati non crede alla scena / mentre già avverte il darré che si bagna / non può far sfuggire neppure una lagna / causa imbarazzo, vergogna e pena. /

Un ospite in sala fiuta aria di fogna / si chiede confuso che mai lo cagiona / poi sbircia una pozza sotto una poltrona / è piscio di Vate che in terra ristagna. /

Merdalli s’accorge che il Vate sua icona / sta muto e impotente sforzando la flemma / ma mica poteva spezzare il programma / gettando alle ortiche un’audience sì buona. /

Decise perciò di andare con calma / sperando che in regia si fossero accorti / che in trasmissione si era ai ferri corti / non per baruffe ma fradicio dramma. /

Il Vate pensò di raggiungere i morti / inabissandosi sul suo sedile / poiché stavolta più che verde bile / è giallo il colore di tutti i suoi torti. /

Gli segnerà a vita l’orgoglio maschile / ma aveva un’idea che non venne a nessuno / e per suggellarsi la faccia di culo / scavò la sua fossa col proprio badile. /

Dimentico d’essere un tele-tribuno / toglie la parola e s’alza superbo / calando le brache senz’alcun riserbo / alle telecamere e grida «Fanculo!». /

In principio fu il Vate e poi venne il Verbo / Verbo che in tele diventa pugnetta / in terminal stadio poi malattia infetta / corrompe un paese fu savio, ora acerbo. /

Merdalli ha esperienza con la gente abietta / ma una del genere non l’ebbe mai vista / e malgrado il pubblico ch’applaude entusiasta / licenziò il Vate e l’intera diretta. /

Una dal pubblico corre giù in pista / di quell’oro liquido riempie una brocca / di piscio di critico finché non trabocca / ma forse un domani piscio d’artista.