RABBIA E STILE

I can see for miles and miles
I can see for miles and miles
I can see for miles and miles and miles and miles.

Erano gli unici versi che ricordava a memoria e li cantava mentre scopavano in piedi contro il frigorifero.
Adorava farlo prima di andare in fabbrica, diceva che per non addormentarsi al tornio non bastava l’aria frizzante presa in Vespa fino a Lingotto.
Oscar lavorava, essenzialmente, per maturare ferie che si prendeva secondo il calendario del Toro; un giorno per le partite in casa, due in trasferta.
Finché un giorno, distratto da un collega, la lama del flessibile gli tagliò un dito, di netto – Oscar! La gioventù degli Ultras te lo canta in coro, vaf-fan-culo maledetto Toro!
Oltre l’indice della mano destra quel giorno aveva perso anche il derby – tre a zero per la Juve – e il bonus aziendale per il pugno a quattro dita tirato al Coletti.
In compenso, grazie al sindacato, aveva vinto una pensione e l’invalidità al sessanta percento.
Con i soldi, però, non l’aveva portata in Costa Smeralda dove vanno in vacanza tutti quelli della televisione, e neppure a cena fuori per mangiare il bollito.
Quei soldi, sbraitava, erano solo suoi e per averli nel portafoglio ci aveva rimesso un dito.
Così, venti giorni dopo, la carena del suo Px era tornata a brillare come l’argento e la sella ad odorare di pelle nuova.
Qualche rocker di merda di passaggio in Piazza Statuto doveva avergliela sgualcita a coltellate ed erano ormai anni che guidava sulla gommapiuma.
Si sentiva figo come Ace Face quando balla Green Onions in Quadrophenia.
Felice, ma non per questo meno incazzato.
Col Toro che non vinceva mai, con la moglie che non gliela dava più, ma soprattutto con gli sfigati fanatici di Elvis che sgasavano le Harley davanti allo stadio, profumati come le troie di Trofarello e vestiti in pelle anche ad agosto.