Roby Baggio

Nel piegarsi allungò lo sguardo dritto davanti a sé per rispondere al suo compagno: ”come sei messo?”. Già, com’era messo. Lo specchio rifletteva un’immagine che era abituato a vedere su carta patinata, ma la realtà era un’altra: il codino rimaneva il suo biglietto da visita, ma sopra le orecchie si affollavano dei corti capelli bianchi. Sbuffò. Afferrò con decisione le stringhe della scarpa destra, tirò. Destro sotto, gira attorno al sinistro, tira, orecchia a sinistra, destro attorno, sotto, tira. No, i capelli grigi però erano una seccatura. Ributtò avanti la testa e guardò ancora lo specchio mentre copriva la gamba con il calzettone destro. Si fermò proprio sotto al ginocchio e passò distrattamente un dito sulle cicatrici mentre ne guardava l’immagine riflessa. Ogni piega della pelle cicatrizzata era come un contenitore di storie. C’erano dentro gli applausi di Vieri e Panucci in allenamento. C’erano dentro dribbling secchi, assist al millimetro, punizioni all’incrocio, calci d’angolo. C’era dentro l’odio di quell’ignorante di Lippi. Già, ma a lui cosa gliene fregava? Erano quindici anni che giocava con un ginocchio e mezzo, che aveva male tutte le volte che caricava sul destro per spostare il peso, che pensava di smettere. Ma erano quindici anni che ogni volta che scendeva in campo vedeva spazi che gli altri non vedevano, intuiva movimenti, prevedeva almeno 2-3 secondi del futuro. In quelle cicatrici c’era tutto, un vaso di Pandora del calcio, un monumento alla bellezza del gesto sportivo. E se non ci fossero state, quelle cicatrici? Se i menischi fossero stati interi, il crociato non avesse fatto crack? Quanti Cristante avevano giocato per anni senza acciacchi e senza capire l’essenza del calcio? In quelle cicatrici c’era un cuore pulsante, c’era l’essenza di Roberto Baggio. Si aprì la porta: ”Ho capito che sei Baggio, ma magari se ti scaldi prima di giocare eviti di farti male. Alla tua età…”. “Ho capito!”, rispose; “ci sono quasi”. Allacciò la scarpa sinistra, tirò su il calzettone, si alzò ed uscì senza guardare lo specchio. Percorse i metri che lo separavano dal campo ed entrò per il riscaldamento. Al primo appoggio per controllare il pallone sentì tirare e scricchiolare l’ingranaggio pieno di sabbia del suo ginocchio, neanche il tempo di accorgersene che il pallone era già stato recapitato ad un suo compagno che se l’era ritrovato perfettamente davanti al piede con cui controllare. Il solito. Com’era messo?