Super Boh

 

Umberto si fece strada tra la folla che ingombrava l’uscita del cinema. Come ogni altra volta in cui aveva assistito a un film della Marvel, aveva riso tra sé di tutti gli sciocchi che avevano abbandonato la sala ai primi titoli di coda. Lo sanno anche i sassi che bisogna aspettare la fine di quelle inutili scritte per poter vedere un’anticipazione del prossimo film, pensò. Com’ è possibile che qualcuno ancora non lo sappia? E poi, per essere supereroi, questi sono proprio limitati, pensò. Hanno sempre bisogno di qualcuno che guardi loro le spalle, che compensi con i propri poteri particolari le lacune del compagno. Peggio ancora, quel qualcuno è spesso un umano normale. Che senso ha farsi chiamare supereroi, dunque?

Umberto era molto più supereroe di tutti loro. Riusciva bene in tutto ciò che faceva, non aveva mai avuto bisogno di nessuno. Aveva fatto dell’autosufficienza totale una bandiera e la sventolava fiero in faccia a chiunque incontrasse. A scuola non disdegnava di aiutare i propri compagni, ansioso com’era di dimostrare che non solo poteva risolvere ogni sorta di problema in completa autonomia, ma era anche capace di elevare intelligenze inferiori.

Tornato a casa, Umberto decise di inventare il più grande supereroe di tutti i tempi. In attesa di trovare un nome accattivante, lo chiamò Super Boh. Super Boh era la sintesi ultima del concetto di supereroe: padroneggiava tutti i poteri possibili e immaginabili e poteva sostituire splendidamente l’intera squadra degli Avengers. La sua perfetta compiutezza e la sua mancanza assoluta di debolezze lo rendevano invincibile. Così invincibile che ben presto la penna di Umberto frenò la propria corsa sul foglio a quadretti. Ogni personaggio bisognoso di aiuto che chiedeva l’intervento di Super Boh lo faceva una sola volta. Nonostante il superamento delle peripezie e la vittoria delle forze del bene, i comuni mortali tendevano naturalmente ad allontanarsi dall’eroe. Super Boh non mancava mai di sottolineare la propria superiorità e ogni sua avventura cominciava e finiva sempre nello stesso modo: lui, da solo, nella sua casa sul tetto di un grattacielo.

In preda alla noia e alla frustrazione Umberto si alzò dalla scrivania. Date le spalle al foglio, estrasse il cellulare dalla tasca e aprì WhatsApp. Ancora nessuno dei suoi trenta contatti aveva risposto ai suoi messaggi.