Sweet Blues

Un altro Natale spento, pensavo. Un altro venticinque dicembre di assenze in vetrina, sotto gli sguardi a intermittenza delle mie fedeli mancanze rattrappite. Non di malinconico umore, né d’attese investito. Semplicemente, spento. È così che mi sorpresero le parole di Nadia, quel giorno santo, profanato dalla mia apatia. Ed erano parole straripanti d’affetto, di gratitudine e di pura gioia, tanto che – malgrado se ne stessero rinchiuse dentro la camicia di forza di un sms – emanavano lo stesso un calore di caramello bollente.

“Grazie per i tuoi pensieri di luce. Sarò sempre grata al Blues che ci ha fatte incontrare”. Fu uno schiaffo d’amore che mi percosse il corpo e mi fece vibrare l’anima di una dolcezza immeritata. Perché era questo, ciò che m’infettava dentro: una colpa refrattaria. Quella che esprimevo con il timore atavico di non essere riuscita a regalare un po’ di bellezza alle persone che avevo avuto accanto e che avevano poi deciso di andarsene in silenzio. Ho impiegato del tempo per comprendere che gli affetti non sono eterni e che il gioco delle colpe, prerogativa di un passato ingombrante che ti rincorre, è solo un vile ingranaggio con cui gli spettri deteriorano anche quello che di buono costruisci. Ma lo spettro più sadico è la severità con cui ti condanni. E come lo rimpinzi, puoi anche – finalmente – farlo crepare di fame.

Nadia l’ho incontrata alcuni anni fa tra le parole scritte di un mio racconto, impastato di note blu e notti insonni. La sua e-mail mi commosse fino alle lacrime, perché la storia con cui avevo imbrattato le pagine bianche, io la detestavo. Lei, invece, ne colse il candore, ringraziandomi per averla aiutata a incontrare la nota blu del suo cuore. Mi raccontò, inoltre, della malattia che aveva inchiodato suo marito e di come l’amore che riusciva a percepire ancora attraverso i suoi occhi, le dava desse la forza non solo di prendersi cura di lui, ma di affrontare, al tempo stesso, il tumore con cui lei sta tuttora lottando.

Da quell’istante ci siamo sempre scritte. Non c’è in lei una sola parola di dispiacere o di sconfitta. È una donna maledettamente innamorata della vita, che mai si stanca di scorgere in me la luce che io per prima ho paura di non emanare. Ma quando scrive “ti voglio bene come fossi mia figlia”, le pupille s’imbevono d’acqua limpida e la vita, allora, mi scuote di nuovo con tutta la sua meravigliosa potenza. A te, Nadia, fiorita dalle comete, il Blues più dolce che sia mai stato intonato.