Through the monsoon

Non mi viene niente di meglio. Il paesaggio monsonico di fuori dal vetro mi ispira curiose assonanze col testo di quattro ragazzini spuntoni e chiodi. Hanno lasciato il caffelatte tre giorni prima, per il vero, poverini.
Chi scrive, per quello che fa, stavolta non sa di cosa scrive. Deve lavorare per immaginazione. Deve saltare il fossato della realtà, ma restando in questo mondo.
Deve evitare la mistificazione commerciale e letteraria dell’amore. Non mettere ali a ciò che non ne ha. Perché “amore” ha scritto morte nel suo nome. A-mors.
Ciò che vince la morte, il non-morire. Anche se non è sempre così.
Amore e morte sono imbragati assieme e ogni volta che lo pronunci scegli di buttarti nell’abisso con la morte. Spaventosa foibe. E bellissima.
“Sì, lo voglio”. Applausi. Marcetta. Riso.
Sì, voglio lasciare la battigia assonnata per sfidare il monsone e correre il supremo rischio della vita, che non è quello di morire. È poter morire restando vivi.
O vivere dopo aver duellato con la morte.
Prendo te e la rinuncia a prevedere il tempo. Acconsento di fare a meno della melassosa retorica dell’Altro e del tu. Accetto di entrare nel monsone del non sapere dove ci sbatterà. È la cosa più grande che in questa vita possa esserci concessa, quella di abbandonare qualsiasi ragionevole proiezione di calcolo a favore di un altro. Per entrare nella burrasca del “tra”.
Tra noi.
Tra noi possono volare gli angeli o i demoni. Nel tra, s’appollaiano colombe o falchi. Tra noi può scorrere latte e miele, o sangue e dolore.
Di cuore, auguri a chi onora la vita entrando in questa tempesta.
A chi, strappando le mappe sta per entrarvi.
Auguri, con commozione, da parte di chi, non per codardia, ha scelto di rimanervi al di qua.

(di Don Luigi Villanova)