Tradere Orientalia

Parlando di mille e due notti non pensiamo ad un cantastorie di Aleppo o ad un qualche derviscio rotante, ma bensì alla fatalità della bellezza femminile: dall’Anatolia alla mezzaluna fertile, in un misto di provocazione e vergogna, Iudith si spoglia delle sue vesti per giustiziare Oloferne; dal Giordano attraverso tutta la Galilea corre Erodiade, come cantata da Heine, sotto uno dei sette veli di Salomè, mentre agita la testa di Giovan Battista. Per raccontare la terza luna dopo le mille notti non serve immaginare un bazar di kilim  resi dall’ intreccio di fili aureo e nemmeno le note di saz che sprezzano il suono di qitar occidentali, ma ci si lascia conquistare da un’odalisca di finta verginità, come vista da Matisse, o da una collana di garofani rossi posata sull’oriente del seno copioso di un’ Aradia saracena.
Il misticismo del sol levante carica l’ eterno femminino di oniricità, persuasione ascetica, veli e profumi d’incenso, ars amatoria ed audacia dominatrice, che sono ben distaccati dalla dimensione del peccato e della corruzione morale. Sono donne-personaggio rilegate alla sfera di un amore che è sì profano ma proprio per questo sacro, legittimato, capace dello stesso trasporto ultraterreno di cui si nutre l’enciclopedia tribale del vicino oriente. Si tratta di buone conquistatrici e non di tentatrici peccaminose viziate dalle viltà di Mephisto.
Se nello Stilnovo si trovava elevazione spirituale nell’ ancella platonica, se Dante soffriva d’afasia nel vedere tanto gentile e tanto onesta la donna sua era perché questa veniva paragonata ad una imago celebranda: nel nostro mondo calante si vuole proiettare l’amor di Dio sull’amore per la donna, dimodo da giustificare il carnale tanto demonizzato.
Ma è la tradizione del vicino oriente che aumenta i limiti della disponibilità narrativa proponendo donne che si raccontano e che raccontano: si può essere Shahrazad anche solo per una notte e concedersi quando mostrata l’ abilità della propria persuasione e l’ intelligenza delle proprie parole. Ogni incontro diviene conquista ed ogni conquista mito da tramandare alle ore successive il tramonto. Ma raccontare è anche tradurre gesta e tradire, come insegna la fine di Shahriyar o l’astuzia di Dalila nell’ingenuità di Sansone. In realtà ogni storia ha una musa orientale nel suo orizzonte geografico.
Le mille e quattro, e nove ed infinite notti sorgono per ogni tulipano turco posato sul ventre di Ishtar e per ogni Babilonia di gesta femminili sussurrate tra le tende persiane.

(di Barberina Bala)