Tre settimane e mezzo (Tratto da una storia vera)

Erano gli anni di rinascita per l’Italia, erano gli anni in cui iniziava a diffondersi la tv, erano gli anni della musica romantica, ed era il 1955, l’anno in cui Elisabetta e Luigi si conobbero. Tre domeniche, tre episodi che diedero inizio alla loro storia: una storia vera.

Domenica 17 aprile 1955
Elisabetta aveva diciassette anni e quel giorno indossava una camicetta blu ed una morbida gonna bianca, fermata in vita da un finissimo cinturino rosso: involucri di tessuto, accuratamente scelti, che risaltavano la sua figura minuta ed elegante. Passeggiava a braccetto per le vie del paese con Carlotta, che indossava la medesima gonna bianca, abbinata però ad un maglioncino nero. Strano come un capo possa donare così tanto a qualcuno ed indossato da qualcun’altro sembrare persino brutto. Ma quella era una domenica magnanima, il sole aveva deciso di non fare distinzioni, baciava tutti allo stesso modo, splendeva e non giudicava.

Luigi aveva ventisette anni e quel giorno indossava le stesse cose di sempre: pantaloni scuri di tela grossa e camicia. Passeggiava con la sorella per godere dell’ottima giornata, ma ancor di più per respirare l’atmosfera che quel piccolo paese altoatesino sapeva offrire. Era appena arrivato e sarebbe ripartito da lì a poche settimane, meglio godersi il panorama.

Stessa strada, lati opposti, ma ad Elisabetta non sfuggiva mai nulla di ciò che la circondava, soprattutto le cose interessanti, soprattutto i bei visi.

«Guarda un bel ragazzo così con una moglie così brutta, peccato.»

«Ma no, Eli, è suo fratello!»

«Ma meno male!»

Domenica 24 aprile 1955
Andare a prendere un quartino di bianco al bar per sua madre era ormai un rito domenicale, una piccola passeggiata da casa fino al centro del paese, non importava se la gonna si sgualciva, non importava se i capelli le si scompigliavano e non importava se le guance si arrossavano, l’importante era il ritmo. Camminare con le gambe lunghe prese da nonna, fino a perdere il fiato, per non perdere il ritmo.

Unico giorno di riposo, era ormai un rito domenicale bere con i colleghi al bar, non importava essere chiassosi, non importava spendere e bere troppo, non importava la fatica della settimana, l’importante era il ritmo. Ridere con il bel sorriso preso da papà, fino a perdere il fiato, per non perdere il ritmo.

«Ciao Elisabetta!»

«Ciao Franz, un quarto di bianco per mamma, grazie.»

«Arriva subito!»

Che male fanno i piedi calpestati dagli sconosciuti che non si scusano.

«Ahia, porco Giuda» – Certe parole non stanno bene in bocca ad una signorina.

«Una bella ragazzina così che parla così male» – Certi rimproveri non stanno bene in bocca a chi non è interpellato.

«E a lei che gliene frega?» – Certe risposte stanno benissimo in bocca ad una signorina.

Alcuni silenzi ingombrano perfettamente la bocca di uomini spiazzati.

Domenica 1 maggio 1955
Quel giorno a Elisabetta toccava fare da chaperon, odiava queste cose, e soprattutto non sopportava il ragazzo di cui Carlotta si era invaghita, forse perché aveva un debole per lei e all’amica non aveva il coraggio di dirlo, o forse perché Elisabetta era uno spirito libero, non soffriva le pene d’amore, non sopportava le frivolezze di donne troppo ancorate alle fantasie da romanzo rosa, o forse non sopportava l’idea che ci si volesse far imbrigliare da qualcuno. Non avrebbe mai permesso a nessuno di ingabbiarla e poi, probabilmente, nessuno sarebbe mai riuscito a capire la sua complessità.
Vide Luigi dall’altra parte della strada, istintivamente lo raggiunse.

«Scusi se le ho risposto male ieri» – Strano come si riesca ad essere gentili con gli sconosciuti quando si cerca una via d’uscita.

«Si figuri, signorina, ha impegni nell’immediato?» – Strano come si riesca ad essere gentili con le sconosciute quando queste sono carine.

«No» – Davvero strano come certe volte la sincerità arrivi prima alla bocca che i pensieri al cervello.

«Posso offrirle qualcosa al bar?» Come sanno colpirti le risposte senza esitazione.

«Paga lei però!» Come sanno colpirti le domande senza esitazione.

Pochi giorni dopo Luigi partì.

Dopo la partenza di Luigi, iniziò una fitta corrispondenza destinata però a diradarsi da lì a pochi mesi. Un anno di silenzio, un anno di esperienze. Nuovamente di passaggio per lavoro nel paese altoatesino, Luigi andò a cercare Elisabetta che nel frattempo si era trasferita a Milano da sola. Non trovando la ragazza, grazie ad un escamotage, riuscì ad estorcere il nuovo indirizzo alla sorella. Con molta diffidenza da parte di Elisabetta riiniziò la corrispondenza. Dopo svariate lettere, i due decisero di incontrarsi a metà strada fra le loro opposte sedi di lavoro: si videro a Bologna e poco dopo si sposarono. Luigi ed Elisabetta nonostante la differenza d’età, nonostante i due caratteri forti, nonostante gli scontri e i litigi, ma soprattutto nonostante la vita, sono ancora oggi insieme. Era forse più facile l’amore ai tempi della Lambretta o è solo una questione di ritmi congiunti?

(di Angelica Basso)