Tutto e Niente

Cassandra aveva cominciato il turno alla stazione di servizio alle otto di sera. Era la cameriera di quel bar frequentato perlopiù da camionisti e viaggiatori notturni. Erano quasi le cinque di mattina. Dopo aver portato caffè e frittelle a una coppia, aveva tolto il grembiule a scacchi che faceva parte dell’uniforme e aveva preso la borsa e il cappotto nel retro.
Salutò il capo e l’altra cameriera e imboccò l’uscita che dava sulla stazione di benzina. Una volta sorpassate le pompe, camminò per una ventina di metri verso il parcheggio. Era ancora buio pesto e l’aria era abbastanza rigida. Guidò nel buio e nel silenzio più totali. La città dormiva profondamente. Nessuno e niente si muoveva a quell’ora.
Parcheggiò di fronte casa ed entrò, stando attenta a non fare troppo rumore. Poggiò la borsa e le chiavi sul divano e aprì la porta della sua camera. Suo figlio Jack dormiva come un sasso. Richiuse la porta dietro di sé e aprì l’anta del mobile bar. Si versò uno scotch e lo sorseggiò per alcuni minuti. Pensava che avrebbe dovuto produrre qualcosa. Cassandra aveva l’abitudine di scrivere. Che fossero poesie, racconti o pagine di diario poco importava. Ciò che contava per lei era prendere in mano la penna e farla scorrere sul foglio bianco del suo taccuino. Così fece. Cercò la penna e il taccuino blu che ossessivamente e metodicamente comprava ogni volta che ne terminava uno.
Si accomodò sul divano e puntò la penna sul foglio. Malgrado le buone intenzioni, la penna e la mano rimasero irrimediabilmente bloccate, come se la sua testa non avesse un accidenti da dire. Richiuse l’agenda, lasciando la penna sulla pagina rimasta bianca. Si alzò dal divano e si stiracchiò, lasciandosi sfuggire uno sbadiglio acuto. Poi decise di prendere la sua macchinetta fotografica. Si disse che poteva provare a scattare qualche foto. Una volta inquadrato un punto del salotto, spostò l’indice sul pulsante, ma restò col dito a mezz’aria. Allontanò la macchinetta dal volto e rimase a fissare un punto indefinito nel vuoto di casa sua.
Lasciò anche la macchinetta e si sedette in cucina. Poggiò i gomiti sul bancone della penisola e sistemò il mento nell’incavo creato dai pugni uniti. Cassandra si sforzava immensamente di riuscire a trovare qualcosa che ne valesse la pena. Voleva togliersi di dosso quella sensazione di vuoto che provava spesso. Sarebbe esatto dire che non provava interesse per nulla. Ritornò sul divano e cominciò a osservare il soffitto. Pensò che in quel momento semplicemente non avrebbe dovuto occuparsi di altro. Tutto ciò che doveva fare in quell’ora buia e silenziosa non aveva nulla a che vedere col pensare.
Cassandra non doveva parlare. Non doveva scrivere. Non doveva fotografare. Non doveva leggere. Non doveva lavorare. Non doveva vivere.
E così fece. Si rese conto che non doveva vivere, almeno fin quando non le fosse tornata la voglia di farlo.