Un giorno di ordinaria malattia

Decine di facce nuove ogni giorno e lo stesso tragitto del tram dall’Accademia fino a casa. Piazza Vittorio sempre affollata e immensa con il suo traffico maleducato e i bagordi nelle sere dei fine settimana che spaventano qualche signora sola e benestante. La solita routine con colori diversi. Questa era Torino per Francesca. Il passare davanti alla Gran Madre le provocava sempre qualche emozione di rivolta. Una ribellione verso il suo destino e verso una calma apparente che soffocava le speranze di migliaia di giovani come lei. La statua della Madonna rimaneva impotente di fronte alle vite disordinate dei suoi figli, mentre la città cambiava genti, forme e palazzi. Il ritorno a casa alle 13.30 in un paese della provincia piemontese come Castiglione riusciva in qualche modo a calmarla. Il verde delle colline attorno e le case modeste le facevano dimenticare persino l’imbarazzante abisso tra la vivacità della città e la trascuratezza della provincia. E come ogni giorno la domanda di rituale della zia:

“Com’è andata oggi?”

“Bene, il solito”

Eppure in quella mattina c’era qualcosa di diverso. Il suo sguardo cadde distrattamente su una pagina della “Stampa” appoggiata sul tavolo. E a un tratto la voce della zia si fece pesante: “Siediti”.

La voce della verità nell’articolo incominciava a prendere forma e ad essere insopportabile. Tre parole le opprimevano il petto fino a toglierle il respiro: Stefano, morto, overdose. Stefano era il suo migliore amico, compagno di giochi da una vita. Le vennero in mente tutte le passeggiate in montagna che avevano fatto insieme, tutte le cazzate che avevano fatto, gli anni delle elementari, del liceo e le serate passate a parlare fino alle 5 del mattino. Non ne avrebbero fatte più. Era scomparso da ormai un mese e Francesca sapeva della sua pericolosa amica che lo stava consumando ormai da quattro anni. Un enorme senso di colpa la opprimeva: si ricordava  le volte in cui aveva chiesto aiuto ai diversi centri di disintossicazione della città. Ma alla fine aveva preferito la cocaina a Francesca e così in un mattino di fine settembre aveva deciso di ritirarsi, di chiudere il sipario della sua vita a ventun anni.

Seduta su un lettino, con i neon dello studio che la accecavano e tutte le attrezzature sterilizzate, ormai era sicura della sua scelta. Aspettava di farsi un tatuaggio da molto tempo e in quel momento il “cosa” farsi era diventata una certezza.

Una “S” sull’avambraccio sinistro.

Per non dimenticare, mai.