Una Storia Mai Raccontata

Non sono mai stato un buon credente. La mia considerazione della dottrina cristiana si altalenava tra l’esistenza di un Dio creatore e di una serie di episodi, di siffatta veridicità ma confermati, sotto un qualsivoglia criterio storico, che si sono succeduti negli ultimi 2000 anni; episodi che, a dir del credente, sono senz’altro, nonostante i dubbi dettati dai dotti, di una tangibilità unica nel suo genere, marcata da una percentuale di autenticità che non lascia modo di controbattere ogni sua innata ipotesi. Furono molti i discorsi che mi portarono ad allontanarmi dalla fede, la quale mancava di ogni possibilità di interpretazione logica, di un, anche errato, discorso attorno al verosimile dubbio che ogni cosa possa essere o non essere. Di quella dannata interpretazione che il metodo scientifico sperimentale avvalora solo dopo il compiacimento dei suoi punti fondamentali; ma non volevo la prova tangibile della verità, non era possibile in alcun modo a nessun essere di questo tempo. Avrei voluto solo evitare il coinvolgimento delle contraddizioni, di quei forti dubbi che quel libro mi portava ad avere ogni volta, si ogni volta che provavo a dare una chiave di lettura mia sulla base del periodo storico o del contesto culturale dell’epoca; ma non mi tornava nulla! Quale Dio può scrivere per bocca di uomini simili scempiaggini; non può un Dio buono e giusto, fattosi uomo, essere imperfetto come un uomo ma allo stesso tempo essere esente da errori. E come si può credere, dinanzi anche a scene reali, di quelle scene tangibili e discutibili, dell’esistenza del male, nato da un Dio e da Dio allontanatosi. Ma un essere onnipotente e onnisciente, che tutto può e tutto sa, non sapeva di questo affronto creando un essere del genere? O l’ha creato per realizzare un universo imperfetto lasciando alla volontà dell’omino, plasmato e reso vivo, la scelta tra il bene ed il male? Più ci riflettevo e più i miei pensieri si arrovellavano in lunghi e complessi discorsi; provavo a dare qualche motivazione giusta a quel progetto divino. Ho provato ad immaginare il tutto come un esperimento di laboratorio, ad una di quelle colture batteriche lasciate crescere e poi analizzate; ma neanche questa era una spiegazione plausibile perché scattava la persistente domanda: perché fare tutto ciò? E allora continuava la mia guerra tra l’impossibilità di contemporanea esistenza tra bene e male, perché entrambi figli della stessa mano.

Fu così che trovandomi a parlare con un caro amico di questi miei incessanti e tossici pensieri, mi ritrovai ad una messa di liberazione. Questo amico vi partecipava perché convinto che un esorcismo alla vecchia maniera potesse cancellare ogni singolo peccato commesso, allo stesso modo del taglio netto di un albero alla radice, senza più possibilità di crescita futura, o almeno di quella specifica vegetazione. Non potevo perdere un’occasione del genere e accettai con gran curiosità, ma fui messo in guardia: “Tutto ciò che sentirai o che vedrai è opera del male, non lasciarti intimorire, prega ed evita l’affronto, o il peggio lo vivrai senza scampo. Chi permette il male non avrà pietà della tua anima”. L’anima, un’inspiegabile energia, anch’essa non tangibile, che permette il contatto tra il nostro essere e la materialità della vita, ma che riesce a sopravvivere oltre morte, mancando, però, di quella parte percepibile ai nostri sensi. E di quest’anima che il vecchio Mefisto si diverte a tormentare, inducendola a soffrire ma allo stesso tempo a pregare di più. Si di più perché il dolore dell’anima, non meno di quello corporeo, porta alla cura più miracolosa al mondo, la preghiera.

Un martedì, verso le 21:30, mi recai in quella chiesa nel centro storico per assistere, per la prima volta, ad una messa di liberazione. Andai con la mente preposta all’ascolto, fine da percepire qualunque cosa potesse dar pace ai miei lunghi pensieri. Entrando notai il silenzio che tutti i partecipanti, dettati dal sacro momento, mantenevano in segno di rispetto. Vi erano circa trenta persone distribuite, la maggior parte, nelle panche vicino l’altare. La chiesa era dell’alto medioevo, dimenticata da tanti e con pochi fedeli a riempirne le file e a mantenerla in vita; le poche luci fievoli davano all’ambiente quella giusta sfumatura adatta a quel rituale. Ci sistemammo al centro di una panca, alla destra dell’altare. Non potetti che notare che non vi erano “impossessati”; mi fu fatto notare che non sono distinguibili sempre, allorché il mio amico, con una sicurezza di chi ha già visto, mi indicò, senza attirare a se occhi inquisitori, chi si trovava lì perché “abitato” dal male. Una donna di mezza età, nulla di che, tranne che per un aspetto: si sfregava in continuazione le mani, come infastidita dall’ambiente. Un gesto passabile come normale, niente che potesse farmi ingarbugliare un filo logico. Dopo qualche minuto dal nostro arrivo entrarono, in silenzio, due frati francescani. Si segnarono e iniziarono il rituale. Sembrava una normale litania, riconobbi indistintamente il rinuncio al peccato del battesimo; il vero rito ebbe inizio subito dopo. Un’unica voce si elevò nella chiesa, tutti i fedeli ripetevano versi per allontanare il male. I due frati si avvicinavano ad ognuno dei partecipanti ed ad ognuno ponevano le mani sulla testa e recitavano qualcosa che non potevo udire, data la distanza. Quando arrivarono a quella donna vidi che altre due persone si misero dietro quest’ultima e le afferrarono le braccia; intuii qualcosa. Quando le mani del frate le furono in testa, un lamento incomprensibile segnò l’inizio di uno strano calvario. La sua forza aumentò, almeno ciò traspariva dall’espressione di chi la tratteneva. Il frate continuò imperterrito il rito e la donna iniziò a parlare in una lingua a me non nota. Il mio amico mi fece notare come la donna, di umili origini e di scarsa istruzione, non potesse conoscere quella lingua straniera perché mai stata al di fuori della sua quotidianità. L’esorcismo proseguiva e la donna non esitava a dimenarsi. L’incomprensibile si alternava al comprensibile e potevo distinguere frasi del tipo: “Non puoi nulla… Vigliacco… Lei è mia… Lasciami stare!”. Non nascondo un certo timore ma la ragione era dalla mia parte, dato che, purtroppo o per fortuna, quel filo logico scattato nel momento in cui la donna ha iniziato a subire l’esorcismo, ancora non trovava vie ambigue per rovinare in una matassa. Il rito proseguiva e quanto più questa si agitava, non trattenendo urla e bestemmie, tanto più i frati insistevano nel loro intento. Una battaglia tra il bene ed il male si combatteva davanti ai miei occhi a colpi di parole. Mentre i frati ripetevano la loro litania, la donna andava calmandosi. Il rituale ebbe fine quand’ella, ormai esausta, si era accasciata tra le braccia di chi la tratteneva. Uno di questi si era prodigato per mantenerle la testa e pulirle la bocca. Dopo qualche minuto, mentre i frati continuavano il loro posare le mani e recitare frasi a me ancora sconosciute sugli altri presenti, la donna si riprese. Nell’alzarsi guardò dove fosse, come se portata lì in quell’istante a sua insaputa, abbracciò l’uomo che la sosteneva e si sedette. Nulla ancora di inspiegabile, pensai, ma la donna, in uno strano impeto, si voltò verso di me e mi guardò. I suoi occhi, in un attimo, diventarono neri e mosse le labbra, come per dirmi qualcosa. Riuscii soltanto a comprendere: “tu”. Nel dubbio di quello strano episodio chiesi conferma al mio amico se avesse visto anche lui la donna voltarsi, ma il resto da me percepito sembrava frutto della mia immaginazione; riprendendo il mio filo logico credetti anche io alla sua ipotesi, probabilmente suggestionato dall’ambiente e da quel rituale che sapeva di antico e di misterioso. Non volendo più assistere ad altro, avvisato il mio amico, uscii fuori dalla chiesa. Avevo bisogno di fumare, volevo calmarmi e intanto continuare il mio lungo pensare su ciò a cui avevo appena assistito e collegarlo agli altri ingarbugliati pensieri. Fui raggiunto, dopo qualche minuto, dal mio amico uscito perché preoccupato per me e perché “liberato” da ogni male. Potemmo, senza troppi discorsi, ritornare a casa. Non so perché ma non parlammo lungo il tragitto, forse entrambi avevamo il timore di cadere in uno di quei baratri in cui le parole portano quando si è suggestionati da strani eventi accaduti in strani posti e al buio della sera.

Mi misi a letto e lì diedi modo ai miei neuroni di partorire i più bei ragionamenti alla luce di ciò che avevo vissuto da lì a poche ore prima. Il primo dubbio che mi saltò alla mente fu la lingua “forestiera” usata dalla donna durante il rito. Ma di che lingua si trattava? A me non ricordava nulla ma non potevo escludere che fosse realmente straniera; la cosa a cui pensavo principalmente è che i presenti pensassero alla soprannaturalità della faccenda solo perché qualcuno aveva detto che in questi rituali si potesse parlare una lingua sconosciuta all’interessato. Suggestione, che altro sennò? Poi vi era il fattore forza, in letteratura medica vi sono trattati che spiegano che un aumento di forza improvviso è possibile, una scarica di adrenalina può portare una madre a sollevare un auto che schiaccia il figlio. Quindi ancora nulla di inspiegabile. Lo svenimento? Trovando la causa a ciò che ha portato la donna ad avere quella crisi, si potrebbe trovare anche la spiegazione al mancamento: calo di zuccheri improvviso, calore insopportabile, mancanza di ossigeno nell’aria, elevato stress. Una cosa però portava a darmi il tormento: quello sguardo rivolto a me. Quegli occhi neri, non vivi, e quelle parole sussurrate quasi a nasconderle; e quella sola parola che ho compreso. Per quanto mi volessi convincere della suggestione, la mia mente elaborava strane immagini che mi riconducevano a quegli occhi neri. Stavo per cadere in un baratro e decisi di preservare il filo logico che avevo creato e di dormire.

“Ero all’interno di un’automobile in transito, a dire il vero sembrava più un vecchio furgoncino anni ’60, ma non potevo fermarmi per rendermi conto dell’effettiva fattezza del mezzo. Lo guidavo senza problemi lungo una comune via, che però non riconoscevo, mio malgrado. La caratteristica di questo mezzo era uno spazio grande all’interno e una piccola consistenza dell’esterno; una doppia faccia di un improbabile veicolo immatricolato in un mondo non reale. Lo spazio interno era considerevole, ricordo come tutti i miei amici, trovandosi sul retro, erano impegnati nel fare baldoria, una festa in un furgoncino improbabile. Sempre alla guida percorsi, forse pochi, forse tanti, forse nessun kilometro. Probabilmente era lo spazio intorno al veicolo a muoversi, fermi in un tempo, in un istante. D’un tratto mi ritrovai col furgoncino sospeso in aria. Me ne accorsi, se non per altro, dall’azzurro colore del cielo attorno a me, visibile dai vari lati attraverso i vetri del mezzo. Come vi ero finito era un mistero, sta di fatto che mi trovavo lì, sospeso sul nulla, con attorno il nulla. Una misera spiegazione l’avrei voluta ma non avevo la concezione della realtà per ragionarvi in termini di raziocinio. Sennonché, come se il momento non fosse assurdo già di suo, apparvero dal nulla, dinanzi il furgoncino, ad una distanza non minima di cinque metri e disposti ad arco, tre ragazzi, l’uno distante l’altro di almeno due metri. Anche loro sospesi in aria e, chiarita ormai l’anormalità del momento, con gli occhi completamente bianchi. Preso dallo stupore di quelle strane presenze, mi voltai a vedere i miei amici che, come non interrotti dallo stare a chissà quanti metri di altezza e con tre sconosciuti a fissarci, continuavano una festa senza apparente causa. Fissai nuovamente i tre ragazzi…”

Un incubo di tutto rispetto, ma come si può sognare un…

Silenzioso, impenetrabile, sul mio letto troneggiava una strana presenza; mi svegliai dall’incubo e grazie alla poca, ma utile, luce che perveniva dalla finestra, una strana nube nera, grande abbastanza da destare sospetto, con un estensione simile ad un braccio e con alla fine quella che aveva la forma di una mano, minacciava il mio sguardo incredulo. Non aveva una forma definita, né una natura reale. Non può essere, mi dico; lo svegliarmi all’improvviso mi ha causato strani effetti di luce che ingannavano la mia vista. Mi strofinai gli occhi nella speranza, nascosta e bisognosa di conferma, che la strana presenza sparisse perché figlia dello spavento dopo un incubo. Al riaprire degli occhi mi accorsi che era ancora lì. La ragione mi aveva abbandonato e non trovavo una ben che minima spiegazione a quella strana visione. Era sul letto e, minacciosa, perseguitava il mio riposo; caddi in una profonda disperazione. Provai ad urlare, volevo aiuto, ma il cuore sembrava un indomabile terremoto nel petto, fuori dal mio stesso controllo. La voce era soffocata, il respiro si alternava da stati di apnea a fame d’aria. Ero in una bolla in cui non riuscivo più ad accorgermi del reale. La paura si sostituì alla ragione; mi accorsi di essere totalmente bloccato. La bocca era secca e avevo il sapore del vomito; la testa pulsava, ho creduto che potesse scoppiare. Ero solo ed in balia di me stesso. Il tempo passava e la presenza andava dissolvendosi, fino a scomparire. Mi sentivo soffocare e nessuno a darmi sollievo. Da quella notte, da quell’ultima notte, rimasto vittima di quello spavento, la mia vita non fu più la stessa. Non so come, ormai non posso più chiederlo, ma quel terrore mi aveva reso un vegetale. Ero diventato un pensiero, chiuso in una mente.. A chi la racconto questa storia ora?