Un’esplosione di gioia

Il sole tramontava dietro le nostre nuche. Io e la mia best-friend, come ogni cristo di pomeriggio, sedute sempre sulla stessa panchina, mangiavamo un gelato al limone, che colava un po’ sulle dita e un po’ sulle cosce scoperte. Vestite carine, con quelle gonnelline bianche, comprate al mercato, tanto per sentirci più femminili – e non esserlo per niente –. Goffe e stravaccate, fissavamo la florida siepe di fronte a noi.
Lei, la mia amica, mi teneva compagnia, mentre aspettavo di vederlo passare, con la sua bicicletta.
Lui. Il mio tutto. Riempiva i miei pensieri e le pagine del mio diario. Diceva di assomigliare a Pacey, ma era in tutto e per tutto come Dawson. Io amavo l’amore di cui ero fatta, che componeva il mio corpo, illuminava la mia adolescenza, come una piccola Joey Potter.
La scuola era: nomi, parole, cuori. Incisioni e scritte sugli armadietti. C’erano esortazioni ormonali (limona duro), slogan proletari (fotti il sistema); i nostalgici nostalgia degli anni ’80 (punk’s not dead); e richiami quelli romantici e freak (la vita è altrove). Simboli esoterici, simboli virili, simboli pacifisti, comparivano in ogni dove. E, fra tante iperbole iperboli e slang giovanilei, il suo nome: inciso con il taglierino, nella speranza di far viaggiare nel tempo il nostro amore, attraverso il banco di scuola.
La Prima prima volta, – Poi ne vennero altre – , ma la prima te la ricordi per sempre. Lui aveva paura; e io mi presi cura di quella paura. Eravamo piccoli e spigolosi; le nostre ossa si battevano e gli abbracci, distesi sul letto, erano dolorosi. Il suo volto arrossiva, teneva gli occhi chiusi e il vino della coop dondolava nei nostri stomaci. Fuori da quella stanza, c’era il mondo: il compito di matematica, la guerra in Afghanistan, l’occupazione a scuola contro la guerra, mia madre che mi lanciava le scarpe fuori dalla finestra, mio padre che ascoltava vecchi dischi, gli amici del parchetto, le canne, l’amica isterica, i capelli blu, l’infanzia ancora un po’ addosso – (Mi affogherei). Fuori, il carcere. Noi chiusi dentro alla nostra libertà. Nel nostro spazio, nei nostri silenzi, tra la noia e il soffitto. Mezzi nudi, con i nostri volti caldi e il reggiseno che non ha mai avuto il coraggio di togliermi. Avevamo tutto quel sentimento idealizzato, sospirato, sognato, raccontato sulla cartella o sul bordo delle suole delle All Star. Appesi tra la vita e il sogno. Perché era la prima volta, ed è stata e fu un’ esplosione di gioia; incontenibile dentro a dei corpi così magri.
Nichilisti, romantici, masticati, ecco come eravamo.
I’m so Happy, because today I’ve found my Friends, They’re in my head.