Assenzia

Bolla d’aria. Gonfia lo stomaco. Corri, sbatti i tuoi scomodi piedi a caso, scalpiti sul solido marciapiede dove altri cento scomodi piedi hanno già sbattuto altre cento volte più scomodamente di te. Ansimi. Ti raddrizzi, scrutando l’orizzonte ricolmo, piani intersecati ti trafiggono gli occhi, la tua iride vitrea s’inonda di oggetti inutili. Case, alberi, panchine, nuvole, sole, asfalto, persone. Una goccia di sudore scivola oziosa sul tuo sopracciglio. Il contorno di te stesso rappresentato dalla fine di te, e dall’inizio delle cose. Cose. Cose inutili. Tu, incorniciato da oggetti. Una mosca circondata da un universo di cosmica spazzatura. Tutto è pieno, visivamente prorompente, tremendamente attraente, orde di consumistici gesti divenuti oggetto, assalgono crudelmente la vista, non appena focalizzi anche il più impercettibile battito d’ali sul ramo più alto. Sei destinato a farti aggredire. I tetti delle case ti graffiano, le grondaie ti bastonano, la luna ti martella, l’asfalto ti risucchia. Inutili oggetti creati dall’uomo, concepiti da Dio. Cose poste sulla crosta terrestre che mascherano l’assenza. L’uomo, rimasto folgorato dall’apparenza delle cose ma incapace di percepire il nulla, che vacilla non appena uno stralcio fugace d’anima gli attraversa il pensiero. Respiri. L’uomo, antipodo metafisico, che si rende pragmatico e diffida dallo spirito. Percepisci. L’uomo, grigio blocco realista ancorato al suolo, insradicabile gravità protesa all’abisso, suscettibile elemento seppellito in profondità, nel suolo degli atti concreti. Pensi. L’uomo, climax irriducibilmente pratico e avvezzo nei confronti della trasparenza, del soffio, del sussurro. Prendi fiato. L’uomo, che necessita di un solido marciapiede sul quale scalpitare a suon di piedi scomodi e dove altri cento piedi hanno già sbattuto altre cento volte più scomodamente dell’uomo stesso, che non riesce ad immaginare minimamente come sia scalpitare sul nulla, aggrapparsi al cielo, abitare in immaginarie  abitazioni, impiccarsi a soffitti mancati, trascendere nell’oltre, nuotare nell’aria, farsi avvolgere dal niente, violentare l’inesistente, implodere nel vuoto. È solo lì, che urli.

“Absence is the highest form of presence.” (James Joyce)

(di Nathalie Antonello)