Balla Quello Che C’é

Scrivere qualche nuova canzone. Passeggiare dopo cena con il cellulare spento. Cambiare le corde alla chitarra. Cancellare il profilo Facebook.  Comprare una chitarra nuova. Cambiare le corde anche a quella. Non avere paura. Guardare quel film di cui mi hanno parlato. Guidare fino in montagna solo per bere un caffè e poi tornare indietro. Fare ordine. Fare ordine. Fare ordine.

Sono solo alcune delle cose che ho intenzione di fare ma che non faccio. Francamente non so bene il motivo. So solamente che quando sono solo con in testa tutte queste cose,  finisco per suonare la discografia dei Nirvana, con le bacchette della batteria contro il cuscino.

Il problema è che lo spazio in cui vivo io e in cui vivete anche voi è maledettamente piccolo. C’è poco spazio per ballare e finisce che balliamo troppo poco. Almeno per me è così. Va a finire che in una giornata vediamo talmente poco del mondo che ci passa la voglia di sudare. Con il cellulare in fin dei conti posso fare tutto quanto anche dal cesso. Quindi di cosa stiamo parlando?

Il caos, nel quale siamo stati inzuppati da quando abbiamo cominciato a pensare, è sempre lo stesso e a noi va bene così. Il problema in questo contesto è il disordine. Il disordine è diverso. Il disordine è ambiguo.
Ambiguo perché la mia camera è in disordine così come lo sono i miei sentimenti e come lo è la mia macchina.
E il fatto che io odi davvero tanto vedere la mia stanza in ordine, allora cosa dovrebbe significare? Non ne ho idea, ovviamente.  L’unica cosa certa è che anche nel disordine si balla. Per fortuna.

Mi spiego meglio: con ballare intendo muoversi, agire, fare le cose. Ma farle per davvero, viverle, sentirle, amarle. Tutto quello che faccio può diventare danza. La routine è la mia danza. Routine non è mica una parolaccia, si intenda. E questa danza si evolve, accelera, rallenta, diventa una festa, diventa triste, diventa qualsiasi cosa ma continua il suo spettacolo finché ne ho la forza, finché ne ho voglia. Ma forse di voglia non se ne ha più tanta. E’ qui il problema, quando la danza non è più danza. Quando siamo stanchi o quando non lo vogliamo più. In effetti penso che si possa anche decidere di non avere voglia di fare qualcosa. Ecco, penso che questo possa essere il personalissimo significato che darei a quella strana parola che è “accidia”. Quando si decide di non avere voglia di fare qualcosa.

A questo punto però occorre mettere in chiaro che c’è una bella differenza, tra essere stanchi di ballare e non volerlo affatto. Enorme differenza. Chi non vuole ballare generalmente se ne sta in un angolino, con un bicchiere in mano riempito di vergognosa invidia, a guardare gli altri ballare. Ma quelle sono persone tristi, che si fottano. No, a me interessa di chi sente la fatica e tende a fermarsi. Come me. Di chi nonostante tutto non vorrebbe fermarsi nemmeno un istante, ma che a volte crede seriamente di cedere fino a voler quasi gettare le proprie “dancing shoes”. Come me.
Sia chiaro, io non so ballare. Però ballare è davvero importante, soprattutto oggi che sembra che tutte le radio siano spente. Quindi ci provo o almeno, faccio quello che posso. I Ministri cantano “Balla quello che c’è”. Esatto, è proprio quello che intendo. Balla quello che c’è.
Quindi dico che di questo non sono ancora stanco, di questo ho ancora voglia. Di ballare. E vorrei maledettamente farlo con te.

 

Ora scusate, ma devo andare in montagna.